di Sly
Il bisogno di sicurezza di un Paese deve essere soddisfatto non solo dalle alleanze politiche ma anche da quelle militari. Con queste parole Andrzej Duda, il Presidente polacco, ha dato il benvenuto il 13 aprile scorso alla prima tranche di truppe, parte di un contingente multinazionale composto da americani (900), britannici (150) e romeni (120) che hanno stazionato a Orzysz, a circa 57 km da Kaliningrad, “isola” russa in un mare europeo in cui la Russia custodisce missili nucleari nonché un sistema di difesa missilistico S-400. Nel mese di giugno sono arrivate altre 3 formazioni dislocate.
La percezione di pericolo, dovuta a ovvie ragioni storiche che risalgono al XV sec. e che rappresentano una costante fino alle spartizioni del XVIII secolo per poi apparentemente esaurirsi con il crollo dell’unione dei soviet e della cortina di ferro, è ritornata negli ultimi anni in seguito alla presa da parte russa della Crimea e la guerra civile nelle regioni di Lugansk e Doneck. La sensazione è quella di essere i “prossimi nella lista”, motivo per cui la NATO rappresenta una possibile ancora di salvezza; il Paese da solo, infatti, nonostante le ultime riforme nel settore della difesa o l’ambizioso progetto di modernizzazione delle forze armate con orizzonte 2022, non riuscirebbe a sostenere più di 3 giorni di combattimento.
Il dispiegamento di forze NATO rappresenta un chiaro messaggio ad ogni potenziale aggressore ma ovviamente fa riferimento al vicino slavo orientale russo, che, a sua volta, vede “non certo a torto“ in questa prossimità ai propri confini una vera e propria minaccia. La sindrome di accerchiamento russa è ulteriormente rafforzata dalle numerose esercitazioni multinazionali tenutesi nei Paesi baltici come, tanto per citare le principali tenutesi nel 2017, la Summer Shield in Lettonia, la Flaming Thunder in Lituania, la Baltops nel Mar Baltico, la Saber Strike nei Paesi Baltici e in Polonia, e la Trident Joust a settembre in Polonia. Fa quindi sorridere la definizione di Zapad 2017 da parte di media e sedicenti “esperti” internazionali come la “risposta”, o meglio, un modo per intimidire, l’Eastern Flank della NATO. Avendo la Russia perso lo storico stato satellite ovvero l’Ucraina, essa non ha altra possibilità di contrastare l’Occidente dell’Eurosojuz (Unione Europea in russo) se non nel mantenimento e rafforzamento delle relazioni con la Russia Bianca di LukaÅ¡enko.
Proprio con questo fine, dal 2009, viene realizzata la prima esercitazione congiunta quadriennale che quest’anno avrà luogo in Bielorussia nei giorni dal 14 al 20 settembre. Lo scenario dell’esercitazione prevede una prima fase in cui l’Occidente (Besbaria e Lubenia) invaderanno la Bielorussia ed una seconda, in cui ci sarà una risposta delle forze alleate Orientali (Russia e Bielorussia). Parteciperanno all’esercitazione 12700 soldati di cui 3000 russi il che quindi non implica la partecipazione di osservatori di tutti gli stati membri dell’OSCE, tale partecipazione è infatti necessaria in presenza di un dispiegamento di 13.000 uomini. L’esercitazione sarà un’occasione per la Russia per testare la prontezza militare delle nuove unità del riformato Distretto Militare Occidentale, mettere alla prova la propria capacità di dispiegamento rapido delle forze sul confine occidentale, obiettivo del resto incluso nei documenti programmatici (dottrina dell’Esercito-2014 e della Marina Militare-2015) che prevedono la creazione di “particolari capacità militari” ad occidente del Paese. Mentre per la Russia l’esercitazione rappresenta uno showing-up delle proprie forze soprattutto all’opinione pubblica nazionale, per la Bielorussia è la dimostrazione della totale mancanza di “autosufficienza militare”™ e della perenne necessità della Velikaja Matà Rossija (Grande Madre Russia) che, come ai tempi dell’Unione Sovietica, vede nel territorio bielorusso un potenziale campo per le proprie azioni militari.