di Massimo Lisi
Alla stessa maniera in cui lo sono gli aeroporti da molti anni, sopratutto dopo l’11 settembre 2001, anche i porti dovrebbero essere dotati di dispositivi di sicurezza particolari, che ad oggi spesso mancano. Gli aeroporti devono provvedere alla scoperta di minacce e alla difesa attiva e passiva da queste su due dimensioni “quella terrestre e quella aerea“ e ne hanno i mezzi necessari, come ad esempio varchi controllati, vigilanza fissa e mobile (check point e pattuglie), torri di controllo.
I porti, invece, hanno una difficoltà in più, poiché devono anche tener conto della dimensione marittima, considerata sia al di sotto che al sopra della sua superficie. I porti possono essere attaccati via terra e aria con gli stessi sistemi utilizzati per gli aeroporti: infiltrazione umana di terroristi suicidi o di gruppi armati (ad esempio, l’attacco all’aeroporto di Fiumicino in dicembre 1985), forzamento con veicoli armati o autobombe (attacco al Battaglione US Marines all’aeroporto di Beirut del 23 ottobre 1983), attacchi con droni, attacchi con velivoli sequestrati. Non occorre dilungarsi sulla protezione degli aerei civili, in quanto, dopo gli episodi dell’11 settembre 2001, il tema è ormai noto anche ai non esperti in materia di sicurezza. La protezione degli aerei da trasporto passeggeri civili è assicurata, infatti, da imponenti misure di sicurezza detettive che da molti anni ormai sono state installate negli aeroporti, come ad esempio l’identificazione dei passeggeri e il controllo dei loro bagagli, la proibizione di portare nel bagaglio a mano particolari oggetti e sostanze (taglienti, liquidi infiammabili e caustici ecc.).
Ad oggi, benché l’ONU preveda standard comuni severi e precisi, i porti nazionali non si sono ancora completamente adeguati. Particolari misure di sicurezza dovrebbero essere applicate alle zone dei porti nel cui sedime (area coperta di interesse) sono stati impiantati depositi di stoccaggio di carburante o addirittura laboratori di trasformazione e raffinerie. Un attentato in quelle aree avrebbe conseguenze devastanti per tutto il circondario e porterebbe danni alla salute della popolazione oltreché all’economia e all’ambiente. Per quanto attiene la dimensione marittima, inoltre, il problema della scoperta di minacce e della relativa difesa si fa ancora più complesso: un mezzo nautico a pilotaggio remoto, benché visibile al radar, non può essere immediatamente identificato come tale, perché può essere scambiato per un comune natante da diporto. Ancor più difficile è individuare la minaccia subacquea, poiché oggi è facile poter acquisire mini-sommergibili anche a pilotaggio remoto. Ulteriori difficoltà sono rappresentate dalla difficioltà di scoprire l’avvicinamento di sommozzatori in tempo utile per l’applicazione di adeguate contromisure per la loro azione terroristica.
Per quanto riguarda l’identificazione sicura di un natante di superficie a pilotaggio remoto, possibile veicolo di azione terroristica, il sistema migliore sarebbe quello di obbligare tutti i possessori di tali mezzi, privati o commerciali, a dotarsi di un sistema di riconoscimento elettronico analogo all’IFF montato sugli aerei. Per i natanti subacquei a pilotaggio remoto, posto che in alcuni porti esistono boe idrofoniche per la scoperta dei sommergibili, occorrerebbe studiare appositi dispositivi che riconoscano e monitorizzino tali mezzi a distanza opportuna dal porto. Per i sommozzatori, invece, potrebbero essere applicate le stesse misure di sicurezza e procedure che vengono messe in atto dalle navi da guerra quando sono soggette a minaccia di attacchi di incursori navali: sistemi di disturbo passivo (emissione di forti rumori subacquei, eventuale posizionamento di reti di protezione); ispezione periodica della carena da parte di sommozzatori.
In aggiunta a quanto già detto, si sottolinea l’importanza dell’azione di intelligence marittima: vettori navali di grande tonnellaggio che trasportano sostanze pericolose (petroliere e gasiere) devono essere necessariamente monitorizzate e successivamente ispezionate da appositi team ispettivi a distanza considerevole dal porto, poiché l’esplosione di una gasiera anche a qualche chilometro di distanza potrebbe causare danni distruttivi notevoli a porto e città.
Finora abbiamo parlato della difesa dell’infrastruttura portuale, ma non dobbiamo dimenticare che la minaccia può essere portata a termine anche su una unità navale commerciale lontano dal porto di origine. Pertanto, l’imbarco di tutti i passeggeri dovrebbe essere controllato con le stesse misure in vigore negli aeroporti. Altrettanto dovrebbe essere fatto per l’imbarco dei container e dei veicoli come tir e autocisterne. A questo proposito, esistono appositi impianti che, stazionando su opportuni varchi, riescono a individuare rapidamente la presenza di esplosivi a bordo di automezzi ruotati. Sarebbe auspicabile che questi impianti fossero resi obbligatori in tutti i porti.
Infine, ad oggi, spesso, si discute sull’opportunità di accogliere o meno barconi carichi di migranti, facendo riferimento a loro come possibili terroristi. Il concetto non è del tutto sbagliato, a prescindere dalle considerazioni umanitarie ed etico-morali, ma si fa presente che i presunti terroristi rappresenterebbe una minaccia di piccola portata, perché al massimo potrebbero essere dotati di armi individuali di piccole dimensioni o di cinture esplosive. Il discorso può essere allargato, invece, al fatto che i terroristi potrebbero essere manovali o ideologi di cellule già esistenti sul territorio, ma in questo caso di tratterebbe di azioni terroristiche a medio e lungo termine.