LA PEDINA SERBA NELLO SCACCHIERE BALCANICO

di Sly

 

I Balcani, regione calda per eccellenza che ha visto nel corso dei secoli un succedersi di imperi, Stati e nazioni: una terra che, data la sua particolare posizione geografica a cavallo tra oriente e occidente, ha ospitato ed ospita varie etnie, culture e religioni. L’area è rimasta relativamente stabile fintanto che il potere centrale è stato in mano ad un uomo forte ma nel momento in cui, come accaduto nel corso del secolo scorso, tale potere è venuto meno, sono tornate alla luce vecchie e mai sopite rivendicazioni con il conseguente desiderio di indipendentismi di tipo regionale.

 

La Repubblica serba è una delle realtà più significative dell’area balcanica: formalmente indipendente dal 2006, il Paese ha presentato domanda di adesione alla UE nel 2009 e nel 2012 è stato riconosciuto lo status di candidato; l’anno seguente il Consiglio Europeo ha approvato la raccomandazione della Commissione di avviare i negoziati, sono inoltre stati aboliti i visti per i cittadini serbi che transitano nell’area Schengen. Il malcontento serbo dovuto alla lentezza europea nel portare avanti il processo di adesione è stato anche espresso in sede del summit di Trieste dove è stata palesata la creazione di un’unione doganale che avrebbe il doppio compito di risvegliare l’economia e, quindi, diminuire l’influenza russa nell’area.

 

Malgrado il suo totale disinteresse alla membership NATO, la Serbia aderisce alla Partnership for Peace (PfP) dal 2006 e vede tra i progetti futuri una collaborazione incentrata sul partenariato individuale (nel 2015 hanno siglato l’Individual Partnership Action Plan) che passa dallo scambio della documentazione classificata con i membri dell’Alleanza Atlantica all’apertura della missione serba presso la NATO. Tale orientamento è tanto più coerente quanto lo è il legame che unisce i serbi al nemico storico della NATO: la Russia.

 

Le ragioni di questa vicinanza si perdono nella notte dei tempi, o meglio, risalgono alla cristianizzazione ed alla diffusione dell’alfabeto glagolitico da parte dei monaci Cirillo e Metodio nei Balcani (a partire dall’863 d.C) e nella Rus’ kieviana (dal 980 d.C.), collanti  che hanno permesso lo sviluppo di un comune substrato linguistico-religioso-culturale nella slavia meridionale ed orientale. Non si tratta di fattori trascurabili se consideriamo il profondo senso della storia che pervade le popolazioni slave e che indubbiamente spesso sta a giustificare o mascherare ben altri interessi di tipo politico o strategico.

 

Lo scorso luglio, il Direttore per il Servizio Federale per la Cooperazione Tecnico-Militare della Federazione russa, Dimitrij Åugaev ha comunicato che Mosca e Belgrado stanno portando avanti le trattative relative alla vendita di sistemi di difesa contraerea S-300. Il comunicato non avrebbe di per se niente di strano se non fosse per il fatto che è stato promulgato a soli due giorni dal rientro del Presidente serbo da Washington, dove quest’ultimo ha incontrato il vicepresidente statunitense Mike Pence. Rumors parlano della possibilità che gli USA possano fornire alla serbia i caccia F-16. 

 

L’output positivo dell’incontro d’oltreoceano non mette ovviamente in alcun modo in dubbio le buone relazioni con la Russia, a testimonianza delle quali sta non solo l’incontro con il Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin (maggio 2017) ma anche la partecipazione serba al St. Petersburg International Economic Forum 2017 o la cooperazione in campo militare in termini di procurement per cui la Russia cederà a titolo gratuito (non per quanto concerne l’ammodernamento che avverrà in terra serba con manodopera russa) alle Forze Armate serbe 6 caccia MiG-29, 30 carri T-72 nonché 30 mezzi corazzati BDRM-2. Cooperazione che coinvolge anche il settore dell’addestramento congiunto: come da comunicato ufficiale del Ministero della Difesa Russo, si sono infatti tenute presso il Centro di Addestramento Paracadutisti di Rjazan’ (Russia) sessioni di lancio da 1.200 e 4.000 mt. (quest’ultime con l’ausilio del paracadute russo “Arbaliet-2”) con le F.A. serbe e bielorusse. Altro fattore di non certo trascurabile importanza è la dipendenza energetica dal gas russo (80% attraverso il South Stream). Il governo serbo sta cercando di recidere questo cordone ombelicale creando una valida alternativa, il Turkish Stream.

 

Il game of Balcans che vede la Serbia nel ruolo del protagonista, si gioca anche a livello regionale e coinvolge i paesi viciniori quali Bosnia ed Erzegovina (BiH) il cui processo di adesione alla NATO (Membership Action Plan – MAP) è stato interrotto a causa del veto posto da Milorad Dodik, il Presidente della Repubblica Serba di BiH. Egli dovrà infatti essere allineato alla politica nazionale (serba) di non adesione all’Alleanza Atlantica, suffragata dalla risoluzione sulla “Difesa dell’ordine costituzionale e garanzia della neutralità militare della Repubblica Serba”. La presa di posizione di Dodik certo non stupisce, crea forse ulteriore scompiglio nel patchwork di alleanze balcaniche più o meno importanti in cui, a quanto pare, la Serbia ripropone il gioco delle parti dal vecchio sapore della guerra fredda.

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