di Cristiana Era
Cosa dobbiamo aspettarci dopo la morte del generale iraniano Qasem Soleimani, ucciso qualche giorno fa da un raid americano? Nonostante le mille ipotesi già prospettate da commentatori e stampa internazionale, non è facile prevedere la reazione di Teheran. Certamente ci sarà un innalzamento delle tensioni nell’area mediorientale, e non solo, grazie ad una azione che chiaramente non fa parte di una strategia militare o di politica internazionale ma di uno dei tanti colpi di testa di uno dei Presidenti americani più controversi, il terzo nella storia degli Stati Uniti contro cui è stata avviata la procedura di impeachment.
La leadership religiosa sciita, invece, probabilmente reagirà all’uccisione del suo generale dopo aver attentamente ponderato le varie opzioni a sua disposizione. Nonostante la naturale impennata dei toni minacciosi, non è da scartare l’ipotesi di ricorrere ad azioni che non portino ad un conflitto aperto, ma più semplicemente ad un confronto/scontro di bassa intensità o di aperta conflittualità per procura. Dai blocchi lungo lo stretto di Hormuz, lungo il quale transita una parte significativa del commercio marittimo internazionale, ad attacchi tramite attori regionali sotto la propria influenza (Hezbollah in Libano, gli sciiti in Iraq, gli Huti in Yemen e Assad in Siria), per non parlare di cyber attacchi: ecco alcune ipotesi da considerare, alcune più probabili di altre.
E’ la quinta dimensione, ancora una volta, che può diventare il vero terreno di scontro capace di dare soddisfazione senza temere le conseguenze di una ulteriore azione diretta. Nel cyberspazio, lo sappiamo, si possono combattere guerre di informazione (o disinformazione), economiche e anche politiche. E difatti, già da vari mesi sono state segnalate “prove di intrusione” di hacker iraniani nei siti statunitensi legati alle organizzazioni che si occupano di campagne elettorali. Erano tentativi in vista dell’imminente campagna presidenziale, ma alla luce di quanto accaduto potrebbe diventare una strategia pianificata per influenzare le prossime elezioni. Sicuramente una possibilità che potrebbe allettare Teheran: un esercito di hacker in grado di destabilizzare il sistema di voto, di influenzare le preferenze, di mobilitare e disinformare l’opinione pubblica, di manipolare dati e opinioni: una guerra senza sparare, ma con effetti altrettanto dirompenti. Del resto, come abbiamo sottolineato in passato su questa rivista, la Russia ha ampiamente dimostrato come ciò sia possibile nelle elezioni passate che hanno dato la vittoria, proprio grazie all’ingerenza di Mosca, a Trump.
Intanto l’Iran si è ritirato dai negoziati sul nucleare, e questo era quasi scontato. Quello che invece appare evidente a molti ma che Paesi come USA e Israele non riescono ad accettare è il fatto che l’Iran gioca e giocherà sempre un ruolo fondamentale nella regione mediorientale. Se poi si considera che è anche uno dei pochi Paesi stabili e coesi dell’area, diventa essenziale riuscire a stabilire dei rapporti di collaborazione, non acuire i motivi di scontro, che non giovano agli Stati Uniti nel lungo periodo, certamente non ad Israele, chiuso da sempre nelle sue logiche da “accerchiamento”, e meno che mai al resto della comunità internazionale.