Cristiana Era
Secondo il Rapporto CLUSIT del 2019, lo scorso anno i reati di cybercrime sono cresciuti del 43,8%, risultando secondi solo a quelli di spionaggio e sabotaggio cibernetico. I dati non sono, purtroppo, solamente numeri statistici asettici, come rivelano gli scandali che negli ultimi anni hanno visto coinvolti i colossi del web, e più in particolare le piattaforme social, rei di aver utilizzato illecitamente i dati personali di decine di milioni di utenti o di non aver vigilato a sufficienza sulla loro privacy. E sono proprio i data breach a costituire ormai la parte maggioritaria degli atti illeciti online.
Quello che dovrebbe apparire ormai scontato “ma in realtà non lo è visto l’uso irresponsabile del web da parte degli utenti stessi“ è la pericolosità dei social network se non utilizzati in modo oculato. Pubblicare in rete (o “postare” nel gergo bruttissimo – che si va diffondendo) tutto ciò che riguarda la propria vita, da quello che mangiamo a come ci vestiamo (o svestiamo), dove ci troviamo in quel preciso istante e cosa stiamo facendo è l’equivalente di aprire le porte di casa nostra a degli sconosciuti. E dovrebbero saperlo anche i più giovani che, forse per una incapacità di comunicare direttamente, continuano ad abusare di queste piattaforme e continuano a scaricare applicazioni che non danno nessuna garanzia dal punto di vista della protezione di dati e privacy. Eppure i casi di cyberbullismo cominciano ad essere numerosi e riportati in tutti i media. Ma come recitava un vecchio detto, il difetto di un coltello sta nel manico non nella lama. A livello istituzionale ci si muove lentamente: l’introduzione del computer e dell’informatica nelle scuole non è andata di pari passo “come invece avrebbe dovuto“ con l’educazione all’informatica e alla tecnologia, che è cosa ben diversa dal saper semplicemente utilizzare i pulsanti del pc, di un tablet, di uno smartphone o di uno smart object (visto che ormai siamo nell’era dell’Internet delle cose). Ma la responsabilità ricade anche, e in primo luogo, sugli adulti che non sono in grado di seguire e gestire le tecnologie in mano ai propri figli, forse perché sono i primi a non capirne i pericoli insiti.