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RISCHI E PERICOLI DELLE PIATTAFORME DI INTERNET

di Cristiana Era

 

Con oltre due miliardi di utenti Facebook è tra le piattaforme di internet più note ed utilizzate a livello mondiale. Il suo stesso successo, dopo il lancio del 2004, ha contribuito in modo determinante all’espansione dei social network, social media e di altre piattaforme, oltre che all’affermarsi di un modello imprenditoriale indirizzato verso algoritmi sempre più mirati ad individuare le caratteristiche e le preferenze dei singoli utenti, personalizzando i contenuti. Ad oggi, 8 persone su 10 sono costantemente collegate ai vari tipi di piattaforme sociali: Whatsapp, Messenger, Twitter, Instagram, WeChat, Qzone, Weibo, solo per menzionarne alcune.

 

La loro larga diffusione e l’assenza di qualsivoglia controllo su profili, collegamenti e post non potevano non portare con il tempo anche ad effetti indesiderati che hanno aperto un dibattito ed un confronto tra i sostenitori ad oltranza e i critici che mettono in guardia sui pericoli non solo per la privacy e la sicurezza informatica, ma per la democrazia stessa. A sostegno di questi ultimi, una serie di scandali che hanno coinvolto Facebook, Twitter e Instagram in maniera continuativa a partire dal 2016, l’anno delle elezioni presidenziali americane influenzate dai troll russi con la creazione di falsi profili (i fake accounts) sulle piattaforme di internet e riconducibili ad agenzie governative di Mosca per manipolare l’opinione pubblica in rete e quindi il voto. Le ripercussioni del Russiagate, ancora oggi ampiamente dibattuto a livello politico, legale e mediatico, hanno spinto – com’era ovvio – le agenzie di intelligence americane ad aumentare i controlli, e lo hanno fatto soprattutto con l’approssimarsi delle elezioni amministrative di mid-term del 2018.

 

Sotto accusa è finita anche la nuova strategia di web marketing denominata “growth hacking” e basata su combinazioni di tecniche di marketing ed informatica. Termine coniato da Sean Ellis nel 2010, il growth hacking è stato ed è tuttora largamente utilizzato da startups e social network. Facebook è ricorsa al growth hacking, ed in effetti negli ultimi anni l’azienda ha visto una crescita esponenziale della raccolta pubblicitaria che ha largamente superato i 50 miliardi di dollari e si accinge a raggiungere anche la soglia dei 60 miliardi. Ma il prezzo da pagare di questo modello imprenditoriale è anche molto alto. Poiché il fine ultimo di questa strategia è la crescita esponenziale del prodotto – virtuale o meno – non esistono altri parametri di riferimento quali codici etici che la possano in qualche modo rallentare o anche solo diminuire.

 

Non è una esagerazione affermare che le piattaforme di internet, per la loro diffusione e radicalizzazione, sono in grado di destabilizzare e rimodellare intere strutture politiche e sociali. Gli allarmi che riguardano, ad esempio, i processi democratici non possono essere circoscritti alle campagne elettorali online poiché, com’è noto, le libere elezioni sono un elemento portante ma di per sé non sufficiente di qualsivoglia democrazia. Alla base di questa, infatti, vi deve essere necessariamente anche una libera informazione. E se è indubbio che internet abbia reso l’informazione alla portata di tutti e consentito alla voce dei media liberi di farsi sentire abbattendo i muri della censura di taluni regimi autoritari, è altrettanto vero che l’informazione è sempre più soffocata dalla disinformazione, soprattutto se radicale, alimentata dagli algoritmi delle piattaforme che mirano a polarizzare i gruppi sulla rete. Come quasi sempre avviene, le chat di persone con opinioni, esperienze e preferenze simili sono estremamente attive, accrescono il traffico di dati e gli spazi pubblicitari ma al contempo frenano, quando addirittura non impediscono, qualunque forma di dissenso e in taluni casi alimentano i cosiddetti hate speech, con opinioni, non fatti.

 

Altro aspetto determinante è quello della privacy, che in rete è sistematicamente violata. Al di là del recente caso di Cambridge Analytica, che giusto un anno fa ha messo in forte imbarazzo i vertici di Facebook rivelando la raccolta irregolare da parte della società americana di dati di ben 87 milioni di utenti del social network che poco o nulla aveva fatto per impedire la violazione, molti altri scandali sull’uso improprio e sulla manipolazione di dati personali senza il consenso dei titolari hanno visto coinvolti i ben noti giganti del web: Amazon, Google, Netflix, Microsoft. E tuttavia, nonostante lo scalpore suscitato al momento dello scoppio dello scandalo, sembra che l’utente medio non sia in grado di capire la portata e la gravità di queste violazioni con enormi interessi economici in gioco. Tanto è vero che casi simili continuano a verificarsi con scarse conseguenze quanto alla responsabilità delle aziende del web.

 

Alcuni osservatori ed insider mettono in guardia anche sui dispositivi domestici intelligenti, quali Alexa e Google Home, con elevata capacità di raccolta dati non solo su preferenze dei consumatori, ma anche su stili di vita, cultura, abitudini. In pratica, quello che viene considerato un congegno di ultima generazione, sicuramente innovativo e divertente, può in pratica diventare una spia dentro casa, oltre a porre un serio interrogativo sulla sicurezza stessa di questi dispositivi quanto a capacità di essere hackerati e manipolati da terzi.

 

Come si cerca di ripetere da più parti, se non accompagnata da una conoscenza adeguata o consapevolezza di rischi e limiti da inserire, la tecnologia pensata per servire rischia invece di assoggettare. I segnali ci sono, spetterebbe ai legislatori regolamentare e al cittadino informarsi.