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E’ tempo di cimentarsi con una nuova cultura politica

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di Giuseppe Blasi
I migliori analisti di politica economica si misurano da tempo con la crisi che ha imperversato e tuttora corrode l’economia dei paesi cosiddetti avanzati. Essi nel contempo osservano criticamente le azioni o inazioni dei vari leader politici, dei potentati economici sia finanziari che industriali per tentare di capire dove andrà il mondo e per quali strade. Ognuno di essi si fa interprete degli umori e delle ansie dell’opinione pubblica, o ad essa tenta di dare risposte che servano anche di indirizzo formativo per la stessa. In questo esercizio, ciascuno commenta, e non potrebbe essere altrimenti, secondo la propria preparazione e secondo il proprio credo. Ciascuno di essi vorrebbe anche fungere da allenatore di una possibile squadra di politici ai quali raccomandare questa o quell’altra soluzione agli immensi problemi che la globalizzazione, succeduta agli eventi del 1989, ha comportato e comporta.
Ciò che in questa sede penso sia utile osservare e far osservare circa la letteratura, o i commenti dei media in genere sull’argomento economico, sono alcune considerazioni che in alcuni casi possono anche provenire dalla medesima fonte e che appaiono altamente contraddittorie e tali da consentirmi di affermare che al momento si rende necessaria una riflessione estremamente accurata sul futuro del mondo e in particolare del “nostro” mondo. Preciso quindi quanto segue.
Uno dei maggiori problemi che la crisi economica ha posto sul tappeto è la disoccupazione; in particolare quella derivante dal settore dell’auto che soprattutto negli Usa ha fatto chiudere numerose fabbriche ma che anche in Europa ha messo a dura prova la capacità di resistenza sul mercato delle case automobilistiche. Ebbene, tale giusta preoccupazione per coloro che perdono il posto di lavoro, mal si concilia con il settore nel quale la crisi si manifesta: quella dell’auto, appunto. Si è detto e scritto per decenni quanto il mezzo privato sia nocivo all’ambiente per le emissioni che provoca, si invocano restrizioni al traffico urbano, si decretano giorni (in Italia) di targhe alterne, si propaganda la bicicletta quale mezzo del futuro(!) e poi ci si preoccupa se le automobili si vendono meno. 
Ecco quindi un altro caso nel quale l’Italia è prima nella classifica dei “virtuosi”. Sono decenni che si persegue il traguardo di dare un’abitazione a tutti i cittadini, soprattutto se giovani o giovanissimi che “devono” fare figli e non possono senza una casa. Sono decenni che in questo paese si costruisce (male) e si depreda il territorio a man bassa delle sue migliori risorse che da noi sono quelle paesaggistiche e ambientali. Cosa questa che viene regolarmente denunciata non solo dalle associazioni ambientaliste ma anche da tante parti politiche.
Ebbene, alla prima pausa (non la denominerei “crisi”) dell’attività edilizia si lanciano allarmi (in questo caso dalle associazioni di settore ma non solo) per denunciarne il declino  generante, anch’esso, disoccupazione.
Sono questi due casi emblematici in realtà di una crisi culturale e di idee, che generano atteggiamenti schizofrenici, in cui navigano imprenditori e politici, ambientalisti, commentatori e osservatori in genere.
Mi appaiono evidenti in proposito alcuni dati. In primo riguardo le automobili. E’ innegabile che l’automobile è un bene cosiddetto “durevole”, quindi oggetto di possesso e utilizzo da parte degli acquirenti per un periodo medio-lungo di anni. Mi appare stupefacente quindi come i grandi manager dell’industria non abbiano per tempo previsto la saturazione del mercato che avrebbe acquistato auto per semplici turn over. Mi appare altrettanto evidentemente contraddittorio per la politica, e in particolare per la politica ambientale, come non si possa auspicare un ambiente scevro di polveri sottili se contemporaneamente si incoraggiano le fabbriche a investire e produrre automobili e se nel contempo non si studia una politica urbanistica e territoriale che preveda un uso possibile, comodo e funzionale per gli utenti, del mezzo pubblico. Faccio presente che l’auto elettrica risolve apparentemente, e comunque solo in loco, i problemi ambientali, in quanto l’energia elettrica da qualche parte bisogna produrla. E da noi si usa quasi solo gas e petrolio.
Riguardo le abitazioni vale il medesimo criterio di raffronto. Non è possibile perseguire l’aumento della popolazione con più nascite e dare a tutti una abitazione decente per poi lamentare la depauperazione del territorio a causa delle colate di cemento.
Sono questi solo due elementi per una riflessione che induca, in questa nostra epoca forse troppo caratterizzata da preparazioni specialistiche e pertanto poco portate alle sintesi, ad individuare le nuove strade da intraprendere per le nostre civiltà. Atteso che le vecchie presentano crepacci dovute all’usura del tempo e sono diventate impercorribili.
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