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Il discorso sullo Stato dell’Unione: “yes, I can”

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di Cristiana Era
E’ un appuntamento tradizionale, quello di inizio anno sullo Stato dell’Unione americana. Ogni discorso presidenziale è fondamentalmente diviso in due parti: la descrizione di un quadro generale di quello che è stato e della situazione attuale da una parte, e delle politiche sulle quali l’amministrazione in carica investirà il proprio tempo e le proprie risorse nel futuro. Ma alcuni appuntamenti con il discorso sullo Stato dell’Unione sono più importanti di altri e i toni variano a seconda dell’ubicazione temporale, politicamente più o meno rilevante, dell’Esecutivo.
Quello di quest’anno è il primo discorso del secondo mandato di Obama. Cosa significa? Significa che il Presidente americano non ha più i vincoli del primo mandato: non può essere eletto una terza volta, ha l’esperienza acquisita nei 4 anni precedenti, può valutare l’operato dello staff e decidere in autonomia i cambiamenti che ritiene più opportuni. E soprattutto può osare, perché non deve stare ai giochi di una futura campagna elettorale.
E infatti, l’Obama dello Stato dell’Unione 2013 è un Presidente che ritorna ai toni e ai temi della prima campagna elettorale che lo ha visto ottenere un vasto consenso popolare contrapposto alla logica delle grandi lobby americane che riversano sulla campagna fiumi di denaro. Obama allora fece appello ad un’America in crisi - nel bel mezzo degli scandali dei mutui subprime e del crollo del colosso finanziario americano Lehman Brothers che si ripercossero sull’intera economia statunitense - e ai ceti più deboli che maggiormente sopportavano il peso della recessione. Era l’inizio di un embrione di Stato sociale, di politiche più eque e una condanna del sistema lobbistico dei candidati. Obama ottenne la presidenza grazie all’aiuto dei social network che diventarono non solo veicolo di comunicazione a basso costo, ma anche un potente vettore per il fund raising.
Il 12 febbraio Obama ha parlato di ridurre i tagli previsti a settori cruciali come l’istruzione e la sanità, e alla questione della riduzione del deficit di bilancio ha risposto con “un governo più intelligente al posto di più governo”. Ossia meno sprechi e meno sussidi. E investimenti per rilanciare le aree in declino: ammodernamento delle infrastrutture, creazione di hub industriali ad alta tecnologia, rientro della produzione in patria dal Messico e dal Giappone. Infine aumento dei salari minimi, una più equa politica fiscale e una regolamentazione dell’uso delle armi e degli immigrati ancora non in regola: il tutto con i familiari delle vittime delle stragi e alcuni immigrati presenti in aula. Il Presidente si rivolge all’America non al Congresso. Familiari ed immigrati sono un potente strumento di pressione e Obama li mette fisicamente davanti ai deputati per ottenere il voto su questioni in cui sono in gioco molti interessi e che trovano dunque grosse resistenze.
Anche in politica estera Obama è più intraprendente: sa di dare la risposta che le famiglie americane vogliono avere quando promette il rimpatrio entro l’anno di 34 mila militari dall’Afghanistan e la conclusione dell’odissea di Enduring Freedom entro la fine del 2014. E se anche la lotta al terrorismo continua e le nuove minacce vengono da altri gruppi jihadisti in Africa e in Medio Oriente, Obama rassicura gli americani: nessun’altra occupazione, solo supporto a sostegno dei governi locali che devono provvedere in prima persona alla propria sicurezza. E’ la promessa di non mandare altri americani a morire in terre sconosciute e a non buttare in imprese militari miliardi di dollari che servono invece per sostenere l’economia nazionale. Ma occorre anche evitare di intaccare l’immagine di superpotenza: e quindi Obama avverte Corea del Nord, Iran e Cina, quest’ultima non menzionata direttamente ma il riferimento è chiaro quando parla di cyberminacce e difesa degli interessi nazionali.
L’Obama sociale e forse un po’ populista forse piacerà poco al Congresso, dove i grandi gruppi di potere sono di casa, ma sicuramente il primo discorso sullo Stato dell’Unione del suo secondo mandato lo ha visto più determinato ad ampliare il consenso popolare e meno interessato ad ottenere quello dei deputati. Non resta che attendere gli sviluppi.

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