Europa - News and Society

European News Portal

  • Full Screen
  • Wide Screen
  • Narrow Screen
  • incrementa grandezza carattere
  • Default font size
  • Riduci grandezza carattere

Se l’America non ha più una strategia

E-mail Stampa PDF


di Cristiana Era
Ancora droni e ancora polemiche. L’ennesimo attacco degli UAV americani, portato avanti l’1 novembre nell’area tribale del Nord Waziristan - che ha ucciso Hakimullah Mehsud, leader talebano in Pakistan - alimenta i contrasti, peraltro già numerosi tra gli Stati Uniti da una parte e Pakistan e Afghanistan dall’altra. Per Washington Kabul e Islamabad sono alleati difficili da gestire, ma purtroppo utili per riuscire a mantenere un minimo di controllo in una regione che da sempre è la tomba degli imperi. Le truppe ISAF si ritireranno fra poco più di un anno, ma l’America ha bisogno di mantenere una presenza minima sul territorio e la politica dei droni è irrinunciabile perché anche se fa vittime civili e alimenta un odio antioccidentale nelle popolazioni musulmane, risparmia però l’impiego diretto sul terreno dei militari statunitensi che dal 2001 hanno pagato con la vita di 2.274 di loro l’impegno di Washington nella stabilizzazione dell’area. Il ricorso sistematico ai raid aerei degli ultimi anni ha permesso all’amministrazione Obama di portare avanti la sua personale lotta al terrorismo riducendo le perdite, sia umane che di consenso interno, per una lunga e logorante guerra di posizione in un Paese che molti americani non saprebbero nemmeno collocare geograficamente e per il quale non sono più disposti a pagare.

Al di là di ogni questione morale, c’è però da chiedersi quanto effettivamente sia efficace una guerra in stile videogame. La morte di Mehsud, che era a capo dell’organizzazione terroristica Tehrik-e Taliban (attiva nelle aree tribali del Paese) e sul quale pendeva una taglia di 5 milioni di dollari, non fermerà certo il terrorismo, così come è stato per quella di Bin Laden nel 2011. I gruppi jihadisti hanno mostrato più volte di sapersi riorganizzare in fretta reclutando la nuova leadership tra i militanti più anziani o più esperti, in una struttura più orizzontale che verticistica. In compenso, però, il raid ha riacceso i toni dello scontro diplomatico con le proteste non solo del Pakistan ma anche dell’Afghanistan che, per bocca del suo Presidente, Hamid Karzai, ha duramente criticato l’azione portata avanti in un momento delicato dei negoziati di pace con i talebani.

E sembra che Mehsud fosse disposto a trattare. Ovviamente non sono mancate le proteste da parte di Islamabad, che continua denunciare le violazioni della sovranità territoriale con operazioni non autorizzate, anche se documenti resi noti recentemente hanno confermato che le istituzioni pakistane sapevano e, almeno in alcuni casi, approvavano. Ma, come ha precisato il premier Sharif: governo nuovo, regole nuove. Washington per il momento ha ottenuto di aver eliminato un capo talebano che anche se con alcune condizioni aveva accettato di iniziare un dialogo, mentre il suo sostituto Maulana Fazlullah è un intransigente che non si siederà ad alcun tavolo della pace; l’ambasciatore americano è stato chiamato a dare spiegazioni dalle autorità pakistane che hanno promesso una revisione dei rapporti di collaborazione con gli Stati Uniti; Imran Khan, capo del Tehreek-e-Insaf, il partito che governa la Provincia autonoma del Khyber-Pakhtunkhwa, ha minacciato di chiudere l’accesso alle vie di transito dei rifornimenti della NATO, che passano appunto per quel territorio se non si porrà fine ai raid dei droni entro fine mese, con eventuale gravi difficoltà per l’intera Missione ISAF; il sentimento antiamericano e antioccidentale, già largamente diffuso tra la popolazione musulmana, ne è uscito rafforzato; infine, ma non da meno, i colloqui di pace che si stanno faticosamente cercando di mettere in piedi potrebbero risentirne, come ha dichiarato il Ministro dell’Interno pakistano Chaudhry Nisar Ali Khan che in una conferenza stampa ha parlato di sforzi vanificati.

Ce n’è abbastanza per prendere in considerazione un cambio di strategia da parte di Washington. L’ossessivo uso dei droni nonostante le proteste dei Paesi coinvolti, le denunce delle organizzazioni per i diritti umani e i dubbi sulla legittimità di tali operazioni dal punto di vista del diritto internazionale, fa però temere che l’amministrazione Obama non abbia un piano B, una strategia diversa per affrontare la questione terrorismo. E l’America è evidentemente stanca di combattere guerre che non è in grado di vincere.

You are here