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Françafrique Adieux: la grandeur di una piccola potenza nella Repubblica centrafricana

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di Cristiana Era
Le violenze nella Repubblica Centrafricana (RCA) tra le forze di Seleka e miliziani cristiani che stanno dilaniando il Paese da un paio di mesi hanno solo trasformato un conflitto già in atto da tempo in una lotta settaria interreligiosa. Criticità quali corruzione, divari etnici e religiosi, assenza di governance e di controllo sul territorio impediscono la stabilizzazione e spingono la RCA verso la condizione di “failed State”.
La Francia, che ha sempre guardato al proprio passato di impero coloniale con un pizzico di nostalgia, cerca di mantenere una qualche influenza nelle ex colonie africane. L’autorizzazione dell’ONU all’uso della forza al contingente francese che supporta i peacekeeper dell’Unione Africana (UA) nella Repubblica Centrafricana del dicembre scorso è solo un atto formale che avalla l’ultimo dei numerosi interventi francesi nel Paese. In realtà è proprio nella RCA che si registra il più alto numero di interventi della Francia nelle ex colonie a partire dal 1960, anno dell’indipendenza del Paese.
I motivi della presenza fissa a Bangui sono molteplici. Nonostante la stragrande maggioranza della popolazione viva in condizione di povertà, la RCA è ricca di diamanti, oro e uranio, e un po’ in tutta l’Africa c’è la corsa all’accaparramento delle materie prime. La Cina sta facendo man bassa con l’iniezione di grandi quantità di finanziamenti, sia per lo sfruttamento delle risorse che per la costruzione di infrastrutture, e con massicci flussi migratori verso il continente. Preceduta dall’Operazione Serval in Mali, l’Operazione Sangaris – 1600 soldati francesi che si affiancheranno  a quelli dell’UA – è un’altra conferma della volontà di Parigi di rilanciare il proprio ruolo politico, diplomatico, ma soprattutto economico, nelle ex colonie. Una presenza necessaria, se vuole  competere con il gigante asiatico e con altre potenze emergenti, quali la Turchia. Ma quella di Parigi sembra più una strategia di contenimento per mantenere le posizioni economico-commerciali già acquisite  e un modo per riconquistarsi un po’ di prestigio sul piano internazionale che una vera e propria politica neocolonialista aggressiva in stile XXI secolo come quella cinese. Anche perché la Francia non ha più l’impero e le risorse necessarie per competere ad armi pari.

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Nel marzo scorso François Bozizé è stato deposto dalla coalizione dei gruppi jihadisti di Seleka e il loro leader, Michel Djotodia, ha assunto la Presidenza. Seleka è una coalizione di tre gruppi ribelli unitisi nella lotta al governo per essere stati esclusi dai programmi di smobilitazione e reintegrazione approvati nel 2007: la Union of Democratic Forces for Unity (UDFR), l’Union for Republican Forces (UFR) e la Convention of Patriots for Justice and Peace (CPJP). Djotoia però non ha più il controllo su tutti i miliziani, che hanno continuato a imperversare nelle strade della capitale e nei villaggi commettendo abusi e crimini di vario genere, soprattutto nei confronti della popolazione cristiana che ha costituito a sua volta gruppi armati che hanno acuito il divario etnico-religioso tra le due comunità. Secondo i dati dell’ONU come riportati dal New York Times, il numero dei rifugiati è più che raddoppiato fra dicembre e gennaio, passando dai 400mila degli inizi di dicembre a circa 935mila. Nella sola capitale Bangui la popolazione si è addirittura dimezzata. Il peggioramento delle condizioni di sicurezza sul terreno, nonostante il rafforzamento della presenza francese, sta rendendo progressivamente più difficile l’invio di aiuti e lo svolgimento delle operazioni umanitarie di assistenza alla popolazione.

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