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La guerra di Hezbollah

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di Cristiana Era
La guerra civile in Siria ha assunto le caratteristiche di un conflitto regionale, la cui prima – ma non unica - manifestazione evidente sono le ripercussioni sul confinante Paese dei cedri con l’intervento di Hezbollah a fianco dell’esercito di Assad: circa tremila militanti con esperienza di combattimento già acquisita in anni di lotta contro Israele che sul terreno hanno fatto la differenza e hanno riportato l’esercito siriano a riconquistare molte di quelle posizioni perdute a vantaggio dell’opposizione dell’ELS (Esercito Libero Siriano), molto più spesso dei gruppi jihadisti ben organizzati come il Fronte Al-Nusra e l’ISIL (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante). Questi ultimi, che sono formazioni sunnite, hanno intrapreso azioni di ritorsione in Libano, operando prima nelle aree di confine e più recentemente creando delle cellule organizzate che dall’inizio dell’anno hanno cominciato a colpire i quartieri meridionali di Beirut, abitati prevalentemente dalla comunità sciita legata ad Hezbollah.
L’intervento in Siria ha dunque dato uno scossone agli equilibri già precari in Libano, ma ha anche avuto altri effetti collaterali significativi, tra cui la contrapposizione etnico-religiosa fra sunniti e sciiti e il cambiamento della percezione del Partito di Dio fra i libanesi. Hezbollah infatti nasce nel 1982, a seguito dell’invasione israeliana: perciò suo scopo principale non fu tanto islamizzare la società libanese, quanto cacciare l’invasore dal sud del Paese che stava poco a poco “israelizzando” il territorio con la complicità del governo maronita di Gemayel, da molti considerato un fantoccio di Tel Aviv. Una formazione, quindi, vista da molti libanesi, anche non sciiti, come una forza di liberazione nazionale, che con il tempo è riuscita ad applicare una politica tanto cara agli americani quanto da loro irraggiungibile: quella della “conquista dei cuori e delle menti” della popolazione. 
Difatti, con il passare del tempo, il Partito di Dio ha assunto su di sé le veci di uno Stato assente o comunque troppo debole per fornire i servizi essenziali nelle aree meridionali, le più povere del Libano. Assistenza sanitaria gratuita negli ospedali gestiti da Hezbollah, istruzione per i figli dei meno abbienti nelle loro scuole, assistenza finanziaria alle famiglie dei martiri combattenti e delle vittime di Israele: il partito mise in piedi un’organizzazione capillare in grado di generare supporto popolare, per poi diventare alla fine una forza sociale e politica e non più solo militare. Inoltre, le operazioni condotte con successo e alto grado di preparazione militare contro il “nemico sionista” convinsero e rassicurarono  gran parte della popolazione libanese, al di fuori della cerchia dei seguaci, che il partito non mirava all’instaurazione di uno Stato islamico ma ad essere una forza di resistenza all’occupazione straniera. Questo gli valse, con il tempo, l’appoggio di parte della comunità maronita, anche a livello istituzionale, quando Émile Lahoud divenne Presidente e manifestò in varie occasione il proprio sostegno a Hezbollah.  Ecco perché l’inserimento di Hezbollah nella lista delle organizzazioni terroristiche internazionali è anacronistico e riduttivo della reale portata del movimento libanese, rispondendo più a ragioni politiche che sostengano la legittimità alla lotta contro di esso che ad una reale natura terroristica del gruppo. 
Ma l’assassinio del Primo Ministro sunnita Rafik Hariri nel 2005, in cui tutti ritengono siano coinvolti Hezbollah e la Siria, incrinò i rapporti con i sunniti e molti libanesi cominciarono a considerare il movimento come una longa manus di potenze straniere (Iran e Siria, i suoi sponsor) e non più come l’unica organizzazione con capacità militari in grado di opporsi ad Israele. Un sentimento che la guerra in Siria ha accresciuto. La decisione del partito di Hassan Nasrallah di inviare i propri militanti oltrefrontiera a combattere a fianco dell’esercito di Assad sta diffondendo la percezione popolare di un movimento che non insegue più l’interesse nazionale, al punto di rischiare di diventare elemento estraneo al Paese. Il partito sciita ha abilmente gestito la propria popolarità interna nel corso dei decenni passati, ma potrebbe perderla in breve tempo a causa del conflitto siriano, che ha assunto ormai anche i toni di una contrapposizione etnico-religiosa fra musulmani, caratteristica estranea alle azioni e all’ideologia da cui ha avuto origine Hezbollah. Infine un ultimo elemento di riflessione per Il Segretario Generale Nasrallah dovrebbe essere il malcontento interno ai propri seguaci a causa del procrastinarsi della lotta e delle ingenti perdite che comunque i miliziani subiscono nonostante i successi. E guardando bene alla situazione sul terreno e all’incapacità della comunità internazionale di gestire la crisi, la guerra in Siria continuerà ancora a lungo.
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