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Dove stiamo andando?

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di Gino Falleri
Dove stiamo andando e cosa ci riserverà l’autunno? Alla vigilia del grande esodo agostàno se lo stanno chiedendo in molti e non senza ragione. Inchieste della magistratura, richieste di arresto e relative autorizzazioni, le borse oscillano, l’euro è in affanno, i prezzi aumentano. Alimentari e carburanti in testa. Nello stesso tempo gli speculatori, seguendo una loro collaudata strategia, hanno prima attaccato la Grecia, per il suo sostegno negli ultimi giorni è stato allestito una specie di Piano Marshall, poi l’Irlanda e il Portogallo ed ora puntano sull’Italia.
L’Unione europea con apprezzamenti ed iniziative, non sempre unanimi, cerca di tamponare, di intervenire, dare fiducia e di mettere all’angolo le grandi agenzie americane di rating. Di vietare che valutino il debito di quei Paesi per i quali Bruxelles sta cercano rimedi per aiutarli ad uscire dalla crisi in cui sono caduti. Saranno senz’altro utili, con le loro analisi e classifiche per la trasparenza e l’affidabilità, ma possono anche essere la causa della speculazione internazionale, che può mandare all’aria l’economia di un paese.
Non è una sorpresa che sotto attacco sia l’Italia. Qualche voce si era già levata in questa direzione. Senza riforme - difficile è realizzarle per i veti incrociati - e con  un debito pubblico quanto mai grande non si va lontano, tanto che non si può fare a meno di ricordare gli inascoltati ammonimenti del repubblicano Ugo La Malfa. Negli anni Settanta dell’altro secolo oltre a sostenere la necessità della riduzione della spesa pubblica, osteggiava pure la tv a colori, era solito affermare che navigavamo in un oceano di debiti. Abbiamo da anni un debito colossale, mai contenuto e ridotto, seguito comunque per entità da Francia, Germania e Spagna. Si vive sopra i mezzi.
La manovra appena approvata, quasi 50 miliardi di euro spalmati fino al 2014 e con misure immediate per fare cassa su automobili di grossa cilindrata, tassa deposito titoli, tassa sulla prima casa e ticket sanitari, aveva fatto sperare in una inversione di tendenza. Nel senso che i mercati alla loro riapertura avessero fornito un responso diverso. Invece è stato il contrario. Le borse sia per l’Europa che per l’America non hanno corrisposto alle aspettative della vigilia e per quella di Milano il 18 luglio è stato un lunedì nero. Solo il giorno dopo si è incominciato a vedere qualche timido assestamento. L’altalena, comunque, continua.
Tutto finito? E’ difficile dirlo, come non è altrettanto facile stabilire cosa fare per progredire e rilanciare produzione e consumi. In economia nessuno ha la giusta ricetta. Al riguardo finora c’è stata molta dialettica e non sono mancate positive proposte e consigli. Per difendersi dalla speculazione finanziaria internazionale la prima condizione, essenziale, riguarda l’autorevolezza, la credibilità e la stabilità dei governi.
Per evitare attacchi speculativi i tecnici accennano al rispetto di un’altra condizione. Contenere la spesa pubblica, che sembra non arginabile, ed in particolare quella per la politica, che a conti fatti oscilla intorno a 23 miliardi di euro all’anno. E su i suoi costi sono stati versati fiumi d’inchiostro. Come molti ricorderanno una delle cause del non incremento nella vendita delle copie di giornale è costituita dal web. Ebbene nella rete, dopo la manovra, è circolata e circola più di una critica, non sempre pertinente, nei confronti della classe politica, senza alcuna esclusione di schieramento. Per far saltare l’attuale governo di centrodestra, ritenuto non adeguato alla situazione, tutto sarebbe consentito. Anche attribuirgli, pur non rispondendo al vero, di essere l’esecutivo delle tasse. La storia repubblicana ricorda che in genere sono i governi di centrosinistra a prediligere la leva fiscale.

Non mancano nemmeno accenni alle corporazioni, che non hanno esitato di far sentire la loro voce allorché si era ventilata l’ipotesi di ridurre il numero degli ordini professionali. Per liberalizzare. Uno dei punti di forza del programma dell’allora ministro Bersani. Un emendamento inserito nella manovra, poche righe, sta mettendo in fibrillazione oltre 70.000 iscritti nell’elenco dei pubblicisti, che costituiscono tra l’altro il tessuto connettivo dell’informazione. Saranno depennati dall’ordine di riferimento, pur avendo un peso elettorale di tutto rispetto. Comunque il rimedio, se così sarà, potrebbe essere in una associazione professionale ed il Gruppo pubblicisti unitari di Stampa Romana ne ha già costituita una da circa cinque anni.
Chi siede sugli scranni del Parlamento, in tempi non facili come gli attuali, e non solo per l’Italia, una domanda se la dovrebbe porre. Se si ritiene che sia giusto che i sacrifici li facciano solo i comuni cittadini e non anche chi in loro nome esercita la sovranità. L’articolo 3 della Costituzione dovrebbe valere per tutti e lo stesso dicasi capovolgendolo per il successivo 53, che fissa il principio che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche. Qualcosa è in cantiere, proprio perché il corpo elettorale ha mal digerito la manovra e soprattutto il mantenimento dei cosiddetti privilegi.
In un recente articolo sul “Corriere della Sera” Gian Antonio Stella ha riferito che i consiglieri regionali sono più pagati del governatore di New York.
Il provvedimento di correzione dei conti, è bene dirlo, contrasta con quanto finora era stato affermato sulla solidità della nostra economia. Se è stato indispensabile fare una manovra così pesante, e può anche non essere sufficiente, non è illogico pensare che dietro alle parole degli esponenti di governo non c’era niente di solido e che le opposizioni disegnavano invece il vero quadro della situazione. Al di là delle iniezioni governative di ottimismo i dati dell’economia e dei conti erano, e sono, ben diversi. Preoccupanti.
Sempre chi ci rappresenta nelle istituzioni dovrebbe chiedersi qual è la sua immagine al di là delle Alpi e come veniamo considerati e valutati nei paesi che contano dell’Unione europea e dare una risposta. Se si dovesse fare riferimento alle battute, talvolta pesanti, che circolano a Bruxelles tra i conducenti di taxi la considerazione non sarebbe delle più esaltanti e non appropriata per la laboriosità del popolo italiano. E’ vero che la vox populi può anche essere la vox dei. Nelle relazioni internazionali quello che conta è il giudizio delle istituzioni, di chi ha il potere di decidere, di intessere alleanze, di stabilire linee politiche e queste si basano sulla probità.
Tutto questo sul fronte della politica, i cui scenari mutano ogni giorno. Nei prossimi  potrebbero essere oltremodo bui. Nel frattempo una specie di terremoto si sta abbattendo sul mondo dell’informazione per via delle intercettazioni. In particolare su quello che sovente viene indicato come un modello da seguire. Sul banco degli imputati è il giornalismo anglosassone e questo grazie alla disinvoltura dei giornalisti che fanno capo a Rudolf Murdoch. Hanno intercettato ignari cittadini, con la collaborazione di agenti della polizia inglese, per fare scoop ed incrementare le vendite.
Sul terreno delle intercettazioni non c’è niente di inedito e tanto meno da strapparsi le vesti. C’è un nuovo richiamo del presidente della Repubblica a farne uso moderato e che non creino disagio a chi è estraneo ai fatti giudiziari. Sesso scandali e soldi, le celebri tre S, sono state la materia prima di molte inchieste dei giornalisti di oltreoceano. Alle volte inventate. Si ricordi al riguardo “La fonte meravigliosa”, un celebre film firmato da King Vidor uscito nel 1949. Per avere una più appropriata idea sulla non linearità del giornalismo americano è sufficiente dare una scorsa a “La democrazia della stampa” di Oliviero Bergamini, edito da Laterza.
Per finire, sempre sul mondo dell’informazione, è da riferire sull’iniziativa del Gruppo Giornalisti Uffici Stampa, il Gus. Ha illustrato a Bruxelles ai rappresentanti italiani dell’Unione europea e al PPE la proposta di costituire una associazione professionale sovranazionale degli addetti al press office, ispirandosi all’ottima esperienza della rete dei comunicatori dell’Olaf, che faccia perno sul Gus. Proposta che ha ricevuto ampio consenso ed incoraggiamento.

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