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Precari ed intercettazioni: quali soluzioni? Tutto come prima?

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di Gino Falleri
La crisi economica che sta coinvolgendo Grecia Italia e Spagna, l’inevitabile declassamento del nostro Paese, le difficoltà dell’euro e gli apprezzamenti negativi di David Cameron sulla moneta europea, che dovrebbe invece guardare alle tante magagne di casa propria, i possibili futuri scenari tracciati da Loretta Napoleoni docente della Judge Business School di Cambridge e la traballante posizione di Obama, hanno fatto distogliere l’attenzione su quanto sta accadendo nel mondo dell’informazione.
Non solo per le possibili restrizioni al diritto di cronaca ed i continui stati di crisi di questa o quell’altra testata, ma anche per la costante contrazione dei posti di lavoro. Per il non equilibrio tra offerta e domanda e per l’irrisori compensi ai free lance. A cui si possono aggiungere i rischi che da qualche tempo incombono, con sempre maggiore frequenza, sui giornalisti. Sono assurti, in quasi tutte le latitudini, a facile bersaglio di minacce, aggressioni ed assassini. Una professione ad altissimo rischio in estrema sintesi.
Il barometro dell’attuale situazione per il versante italiano è tenuto dall’Osservatorio, curato da Alberto Spampinato, e non volge al sereno. Dall’inizio dell’anno oltre 170 giornalisti sono stati coinvolti in casi di minaccia e di gravi abusi. L‘esercizio del diritto di informare i cittadini, che hanno quello di essere informati, non collima sovente con gl’interessi dei potentati. Di qui le reazioni con provvedimenti legislativi o altri mezzi. E’ sufficiente dare uno sguardo fuori dei nostri confini per constatare che il giornalista viene considerato un intruso, un ficcanaso da mettere all’angolo. Iran e Messico sono due classici.
Chi si interessa di diritti umani, di stupefacenti, del loro traffico e di quant’altro è ad essi legato deve muoversi con estrema cautela. L’ultima vittima è stata Maria Elizabeth Macias della redazione di “Primaria Hora”, che ha stimolato un intervento dell’Ufficio dell’Alto commissario per i Diritti umani delle Nazioni Unite. Ha chiesto alle autorità messicane di aprire “indagini complete e imparziali” sui recenti omicidi di giornalisti che vivevano e lavoravano nel Messico. In Iran sono i diritti umani a tenere banco. Chi scrive non evita il carcere. Dal 2009 secondo Reporter sans frontierés sono stati arrestati 200 giornalisti e blogger.
Una situazione difficile sottolineata anche da Thorbiorn Jagland, segretario generale del Consiglio d’Europa. Nel mondo dell’informazione non tutto fila per il verso giusto. E i motivi possono essere molteplici. Gl’inglesi, che si ritengono i primi della classe e fanno parte del modello del Nord Atlantico, stanno invocando una specie di Giuramento di Ippocrate con cui vincolare i giornalisti. Questo significa che la qualità dell’informazione anglosassone traballa. Sempre gl’inglesi, sono loro ad aver utilizzato per la prima volta l’inviato speciale, o redattore viaggiante come di diceva un tempo, stanno valutando su iniziativa del laburisti se sia opportuno istituire l’Ordine dei giornalisti.
Infine il redattore del Terzo Millennio. A sparigliare le carte sugli attuali programmi didattici per la formazione delle nuove leve è intervenuto il “Corriere della Sera”. Ha fatto sapere quali requisiti dovrà avere. Laurea breve, conoscenza di almeno due lingue straniere e ottima dimestichezza con i video, blog, forum e social network. Le qualificazioni professionali le fissano gl’imprenditori ed assumono coloro che le hanno.
Il piatto forte del giorno sono i precari e le intercettazioni telefoniche. Dal pulpito politico si ritorna a parlare di mettere degli argini alle loro pubblicazioni ed è stato così ripescato un testo già approvato da un ramo del Parlamento. Le notizie “irrilevanti” non potranno essere pubblicate. In caso contrario è prevista la detenzione. Un provvedimento non di certo da stato democratico. Si dimentica che ai giornalisti arrivano i brogliacci e sono l’ultimo anello della catena. Gli altri?
La libertà di stampa è un bene di grande valore sociale da difendere. Tuttavia non può essere sinonimo di violazione dei diritti altrui. Di chi nulla ha a che vedere con le inchieste della magistratura inquirente, che loro malgrado finiscono nelle maglie delle intercettazioni messe in moto anche senza concreti indizi di reato. Di fronte alla prospettiva  di un blocco del diritto di cronaca, sono più che legittime le reazioni della Fnsi e fa bene a protestare. Dovrebbe comunque chiedersi, poiché le iniziative legislative debbono essere analizzate sotto tutti i punti di vista, se l’essenzialità dell’informazione sia stata finora rispettata. L’articolo 6 del Codice sul trattamento dei dati personali e sia stato inoltre osservato l’articolo 2 della legge sull’Ordinamento della professione di giornalista, compresa la rettifica senza ribattuta.
Le domande dovrebbero essere finalizzate a conoscere quante volte l’Ordine professionale, titolare del procedimento disciplinare, ora in bilico, sia intervenuto in difesa del terzo privo di responsabilità, abbia censurato chi informava in maniera inesatta, chi ha fatto nomi e cognomi o abbia richiamato con sanzione chi appariva sui titoli di coda perché indossava capi di abbigliamento firmati. Faceva pubblicità ed è vietata. Su tutto questo calano come un macigno i risultati di una ricerca commissionata all’AstraRicerche dall’Ordine della Lombardia. Emerge un risultato di una gravità estrema: i giornalisti non rispettano la deontologia. Significa che le Carte dei doveri, e non sono poche, non hanno funzionato, la risoluzione del Consiglio d’Europa sull’etica non è stata tenuta in considerazione e che i giornalisti non sono equidistanti.
Se ha notevole valenza il problema delle intercettazioni, non di meno lo ha quello  dei precari. Dei tanti free lance che percepiscono qualche euro ad articolo e hanno innanzi  un futuro quanto mai incerto. A cominciare dalla pensione. Un problema non affrontato con il dovuto piglio dal sindacato unitario. Quello che potrebbe accadere in futuro lo hanno comunque disegnato Valter Passerini ed Ignazio Marino in un recente libro dal titolo “Senza pensione”.
La Fnsi al termine del congresso di Bergamo ha fatto dei precari il suo cavallo di battaglia e per arrivare ad una apprezzabile soluzione sta spendendo non poche energie. Finora senza risultati. Ebbene nei giorni passati è stata la protagonista a Fiesole del seminario su “I cambiamenti dell’industria dell’informazione” organizzato per iniziativa dell’European Federation of Journalist e dall’European Trade Union Istitute ed i precari sono stati il punto di forza degli interventi. Alcuni di rilievo e della vecchia guardia.
E’ salita nella cittadina toscana con tutta la sua dirigenza, ma ha difettato sulla comunicazione. Solo alcuni hanno saputo del seminario, come peraltro è stata tenuta riservata la notizia di una riunione che gli addetti stampa delle università hanno chiesto di svolgere nella sua sede romana. E’ stato omesso di ricordare nel dare il placet di un particolare. Era un tema introdotto nella seduta d’insediamento della Commissione nazionale uffici stampa ed alla stessa Commissione spettava il compito di approfondirlo in prima battuta per poi confrontarsi. La Cgil avrebbe divulgato la notizia a 360 gradi.
Il tema precari ha sempre avuto in Toscana un altro momento di approfondimento. L’ha organizzato a Firenze il Consiglio nazionale dell’Ordine, con molta eco per l’impegno profuso dall’Associazione della Stampa Romana, che ha pure redatto un documento con articolate proposte. L’appuntamento fiorentino ha ruotato su “Giornalisti e giornalismi” per ridare “una nuova dignità alla professione contro lo sfruttamento e per una informazione di qualità”. Ha assunto la connotazione di un termometro, di cosa bolle dietro le quinte e che il problema per quanto di spessore non può essere risolto con sanzioni a direttori e redattori capi. L’industria della notizia allo stato attuale non può dare lavoro e compensi adeguati agli oltre 100.000 iscritti all’albo. Lo ha affermato con forza il segretario generale della Fnsi.
Comunque sul fronte dei precari, dei sottopagati e dei collaboratori in nero non c’è niente di nuovo dal giorno in cui la Fnsi, sempre attenta alle situazioni occupazionali e retributive, sei anni fa ha dato alle stampe il “Libro bianco sul lavoro nero”. Ha riportato le esperienze di chi non era un “garantito”, che altro non sono che le stesse storie di oggi. Si potrebbe asserire che non è cambiato niente dal 1877, quando è stata costituita l’Associazione della stampa periodica italiana. I compensi sono sempre stati irrisori, non rispondenti alla professionalità ed ora al dettato costituzionale. Per averne conferma si può sfogliare Il Bollettino edito dai giorni successivi alla costituzione della Fnsi. Dal 1908 in poi. Cambierà qualcosa? E’ un auspicio. Lorenzo il Magnifico affermava che “di doman non c’è certezza”.
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