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Attacco all’Euro ed informazione sotto tiro

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di Gino Falleri
L’effetto Monti finora non si è visto. Forse domani, quando il governo, voluto dal presidente della Repubblica, farà conoscere agli italiani quali misure intende adottare per portare i conti pubblici sotto controllo ed arrivare nel 2013 al pareggio di bilancio. Nell’attesa dei provvedimenti i mercati hanno seguito le loro logiche. La borsa italiana ha continuato a registrare non poche perdite unitamente a quelle delle principali piazze europee a dimostrazione che i problemi economici e la fiducia nelle economie dei singoli paesi possono avere connotazioni e risvolti  differenti da come si raccontano.
Lo spread con i titoli tedeschi ha proseguito ad andare su e giù come un oscillografo. Hanno pure ondeggiato i titoli di credito della Spagna e della Francia e sulla Francia di Sarkozy incombe la possibile perdita della terza A. Per l’inquilino dell’Eliseo sarebbe un grande guaio in vista delle prossime elezioni.
Un quadro dalle tinte purtroppo non rosee. A renderlo ancora meno roseo è intervenuta, come una ciliegina, un’altra agenzia di rating, la Fitch. Ha tagliato il rating del Portogallo, ha distribuito voti negativi ad alcune nostre banche e ha affermato che l’Italia è in stagnazione. Per completare si può aggiungere che anche lo spread del Belgio sta salendo per l’insuccesso di Elio Di Rupo di formare un nuovo governo e la Germania non è riuscita per la prima volta a collocare tutti i titoli messi in vendita nei giorni passati.
Cosa ci riserverà il futuro non è facile anticiparlo e bisognerà attendere il 9 dicembre per sapere quali misure o suggerimenti verranno dal summit di Bruxelles. Una delle più attese è una riforma strutturale delle istituzioni europee. La Commissione ha la sua ricetta per la crescita e la stabilità. Punta anche sugli “stability bond” mentre Barroso e Van Rampuy sono andati negli Stati Uniti per un colloquio con Obama.
Nel frattempo circolano notizie che se fossero vere bisognerebbe tremare. Alcune banche anglosassoni, il Regno Unito fa parte dell’Unione Europea con tutti i benefici connessi senza aver adottato l’euro quale sua moneta, avrebbero l’intenzione di sferrare un deciso attacco all’euro e mandarlo così in pensione con ripercussioni tragiche. Ipotizzabili solo per grandi linee e la stampa nazionale non lesina proiezioni ed approfondimenti.
Per descrivere in parte lo scenario futuro, se l’euro dovesse per davvero crollare e noi saremmo l’ultimo baluardo come hanno congiuntamente affermato Merkel e Sarkozy, si potrebbe fare riferimento alla Germania del 1919, quando appunto il marco non valeva niente. Ci volevano pacchi di cartamoneta per acquistare qualcosa ed i risparmi volatilizzati. Per risalire la china il popolo tedesco, sconfitto dalle armi della Triplice Alleanza e dal contributo nordamericano, ha lavorato gratis due ore al giorno, oltre l’orario contrattuale, e lo ha fatto anche dopo il crollo del 1945, nonché per la riunificazione delle due parti della Germania.

Un impegno civico difficilmente rintracciabile qui da noi, bravi e capaci come singoli. E’ sufficiente ascoltare i discorsi sui mezzi pubblici, grazie al disinvolto uso del cellulare, per capire chi siamo e quanto siamo rispettosi della cosa pubblica. Più di una colpa è da attribuire alla classe politica, miope e tentennante. Incapace, per il consenso, di riformare un paese che fa riferimento a modelli obsoleti. Con l’aggiunta di organizzazioni sindacali tetragone, una giustizia civile lentissima, un sistema universitario sbilanciato sull’anzianità anziché sulla qualità ed una informazione che delle carte dei doveri ha poca dimestichezza. Sempre sulla Germania e sulla politica della Merkel non può essere dimenticato un articolo di Tobias Piller, corrispondente dall’Italia per la “Frankfurter Allgemaine Zeitung” dall’emblematico titolo “Perché non ci fidiamo di voi”, pubblicato sul numero 39 di Panorama. Ha riferito dei sacrifici sopportati dai lavoratori e pensionati, della moderazione dei sindacati sui compensi e sulle ore di lavoro, nonché dei tagli fra i dipendenti pubblici, la non corresponsione della tredicesima e nelle scuole tedesche c’è un bidello ogni 1000 alunni.
Euro, economia, mancanza di lavoro, giovani e tasse costituiscono la materia prima per i titoli dei giornali. Anche il mondo dell’informazione ha subito gli effetti della crisi e non vive momenti migliori, anche per via di internet che negli Stati Uniti è considerato un killer paper. Italia e Spagna hanno un sovrannumero di giornalisti rispetto all’offerta di lavoro. Lsdi docet. L’agenzia di Pino Rea ha fatto sapere che i giornalisti visibili non arrivano a quota 50.000.
Interessarsi di informazione non è per niente agevole. Basta dare una occhiata all’Osservatorio di Alberto Spampinato, al sito dei giornalisti calabresi o a quello di Franco Abruzzo per leggere dei bollettini di guerra e la Fnsi è così assurta a vessillifera della difesa di tutti i giornalisti, qualunque sia la loro nazionalità. Riaffermando così ancora una volta il buonismo delle nostre istituzioni. Noi siamo buoni, aperti, coscienti dei problemi altrui. Purtroppo il giudizio che la comunità internazionale ha degli italiani è pressappoco sempre lo stesso. Non apprezza chi parla senza realizzare.
Ebbene la Fnsi ha chiesto al nuovo ministro degli Esteri di farsi portavoce in tutte le sedi e consessi internazionali della necessità di tutelare il lavoro dei giornalisti e di conseguenza della libertà di stampa ovunque in bilico. Lo spunto per intervenire la legge bavaglio che il partito di governo del Sudafrica, quello dell’osannato Mandela, vuole introdurre. Chi pubblica notizie coperte dal segreto prende 25 anni di galera. Negli Stati Uniti chi viene intercettato dalla polizia a guidare una seconda volta in stato di ebbrezza, altro problema irrisolto, ha di fronte a se molti anni di carcere. Non ci sono sconti di pena. Sul banco degli imputati c’è pure l’Ungheria. Soffia un vento non a favore della libertà di stampa e chi non è allineato rischia non poco. Innanzitutto il posto.

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