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Pareggio dei conti, ma occhio anche alla libertà d’informare

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di Gino Falleri
Siamo il paese delle luci e delle ombre. Andiamo da un estremo all’altro, secondo una collaudata consuetudine. Massima libertà e rigore assoluto. Questa potrebbe essere l’istantanea fotografica dell’Italia del 2012 e probabilmente lo sarà anche dopo la primavera del 2013, se non interverranno mutazioni nel costume italico. Ora siamo nella fase del rigore ed ogni infrazione, anche la più insignificante, costerà sempre più cara e purtroppo senza una adeguata contropartita poiché i servizi che lo Stato dovrebbe fornire ai cittadini sono quelli che sono. Evanescenti. La sanità in prima fila perché la politica ha occupato tutto. E quando si muove la politica le eccellenze scarseggiano. Nessuno risponde.
Il governo dei professori sta andando avanti nella sua strada e non si fa condizionare. Tuttavia quando si adottano dei provvedimenti, come quelli che finora sono stati resi esecutivi per evitare gravi conseguenze, il fallimento dello Stato come è stato pronosticato, dovrebbero essere comprensibili nelle loro finalità. Soprattutto perché sono oltremodo penalizzanti per i “governati”. La comunicazione di servizio dovrebbe avere un ruolo predominante. Bisogna far capire, per esempio, perché si tagliano le pensioni, dal retributivo al contributivo, e non si rivalutano secondo il tasso d’inflazione quelle superiori ai 1400 euro.
Di spiegazioni da fornire ce sono diverse. Una riguarda la tracciabilità oltre i 1000 euro, e il conseguente obbligo per i pensionati sopra la citata cifra di avere un conto corrente. Quali risultati si aspettano e se è la misura più idonea per evitare il riciclaggio. A seguire lo svuota carceri che ha il suo riferimento nelle sentenze della Corte dei diritti dell’uomo e nelle bacchettate che l’Europa ci rifila.
La delinquenza è più che mai attiva sotto tutti gli aspetti e qualche misura drastica per combatterla dovrebbe essere predisposta. Qualcuno ha riferito che si è costretti a farlo perché finora non è stato realizzato niente. Il piano carceri è stato uno dei tanti spot. Inoltre c’è l’introduzione alla chetichella della tassa di concessione sui contratti di abbonamento dei telefoni cellulari ed infine la retrodatazione delle addizionali e spostamento indietro del termine per la conversione in euro della lira. Quest’ultimo provvedimento ha provocato una interrogazione del senatore Lannutti dell’Idv. Lo Stato mira ad incamerare nelle sue casse un miliardo e trecento milioni  di euro. Sempre alla chetichella.

Una girandola di decisioni per arrivare al pareggio di bilancio, i cui effetti si faranno sentire nelle tasche dei cittadini durante l’anno corrente, e conferire una immagine più seriosa al paese. Un aspetto importante. Per questo attivismo legislativo, ma anche per il presenzialismo nell’Unione, al presidente del Consiglio è valsa una copertina su “Time”, allorché è andato in visita alla Casa Bianca. Ma non ci sono solo stati applausi. Ha pure incassato qualche articolo non proprio agiografico dalla stampa estera, come quello di Gavin Jones della Reuters e pubblicato sul numero 935 di “Internazionale”. A cui possono aggiungersi affermazioni intempestive e quella sul posto fisso lo è stata, tanto da provocare una serie di commenti negativi.
Di sviluppo, di crescita, che è poi quello che interessa, non è stato detto molto e tanto meno si è fatto qualcosa. I programmi sono ancora in pectore e sul tappeto c’è il famoso articolo 18. Le cosiddette liberazioni hanno per ora puntato su farmacie, tassinari e notai. Quelle che potrebbero essere risolutive per il rilancio sono al palo, intanto la benzina ha superato quota 1,8 euro al litro, all’incirca 3.500 lire, anche per le varie addizionali mai cancellate e ringraziando sempre chi ha accettato un cambio così penalizzante. Sulle addizionali c’è una buona notizia. Viene dalla Corte costituzionale. Le “tasse sulle disgrazie” sono anticostituzionali.
Un quadro che altro non è che il segnale di una recessione, il Pil nel 2011 è sceso dell’0,7 per cento e scenderà oltre l’1% nel 2012, come peraltro ha confermato il Fondo monetario internazionale. Senza circolazione monetaria sono guai seri e la Grecia insegna. La disoccupazione giovanile, giunta al 31 per cento con la perdita di 80 mila posti lo scorso anno, il precariato, la chiusura di negozi ed attività imprenditoriali ne sono segnali più che inquietanti. Previsioni di crescita solo dopo i primi mesi dell’anno prossimo.
Nel 2013 i due grandi partiti, Pdl e Pd, ed anche il Terzo Polo, dovranno fornire non poche giustificazioni ai loro elettori per aver avallato tasse ed addizionali, con la retroattività, e non si sa come questi le prenderanno. La previsione è il pollice verso, l’astensione e la preferenza ai movimenti. Le primarie del Pd con i suoi non scontati risultati un campanello d’allarme. Uno scenario alquanto nebuloso e molti aspiranti deputati e senatori avranno poche frecce all’arco. Soprattutto coloro che sono legati più alle parole, talvolta non comprensibili, all’uso dei megafoni ed a marciare in prima fila nei cortei di protesta, che ai fatti ed alle realizzazioni.
Fin qui il binomio economia-politica. L’emergenza risanamento sta facendo passare quasi inosservato, comunque nell’indifferenza generale e degli stessi mezzi di informazione, il complesso problema delle risorse all’editoria e di conseguenza il diritto di essere informati. Senza soldi, senza aiuti, non si va lontano e più di una testata per mancanza di mezzi ha chiuso o sta per serrare i battenti. Secondo la Fnsi ci sarebbero 4.000 posti di lavoro in bilico, ma bisognerebbe anche fare una seria riflessione se si debbono o no dare all’editoria i soldi pubblici e se sì a quali condizioni. Sulla possibilità di concederli circolano delle anticipazioni. La parola d’ordine è rigore e rispetto assoluto delle leggi. E qui i professori hanno mille ragioni.
Al di là del problema risorse, di notevole caratura per i suoi riflessi negativi, ce ne sono altri due che non possono essere procrastinati e riguardano l’occupazione e la sicurezza. Quest’ultimo di dimensione planetaria. Partiamo dal primo. Il tema occupazione deve essere affrontato con modalità e spirito diversi. Tutto il mondo dell’informazione si muove sulle spalle dei precari, pubblicisti e professionisti. Coloro che sono definiti pomposamente free lance. Riscoperti dal sindacato a Bergamo nel gennaio del 2011 con una rigorosa relazione. Dopo un anno ancora è  tutto allo status quo ante.
Lo stato di fibrillazione lo attestano le dimissioni a livello nazionale e  locale di due attive e propositive free lance. Dimissioni che stanno a significare più cose. La prima è  che il sindacato deve accantonare di parlare almeno per qualche tempo di garantiti e di Rai, che non sembra offrire programmi di alto contenuto e talvolta lasciano pure perplessi per l’abbigliamento femminile. L’equo compenso, su cui si pongono tante speranze, è in contrasto con la linea tracciata dai professori ed approvata dal Parlamento. Niente più minimi tariffari. Allora?
Il secondo problema è quello della sicurezza ed incide sul sistema democrazia. I giornalisti sono sempre più a rischio, tanto che la Fnsi non manca giorno nel segnalare come poco viene considerata la vita di chi si muove il fronte della notizia. Un attivismo, unico in Europa, tanto che potrebbe essere equiparata per l’impegno agli americani. Questi ritengono di essere i gendarmi delle libertà, dei diritti umani con tutti gli errori che commettono con le bombe intelligenti. La Fnsi è il tutore internazionale della libertà di informazione, del libero diritto di informare e combatte una battaglia di libertà. Purtroppo di questo suo impegno civile le cronache straniere sono molto avare.
La manifestazione del pensiero, il diritto di informare costituiscono dei beni irrinunciabili e tutti dovrebbero sapere cosa sta accadendo nel mondo dell’informazione. Si tagliano pure le teste dei giornalisti non in senso figurato, ma reale. Il barometro della situazione nazionale ed internazionale è costituito dal giornale on line del Sindacato dei giornalisti della Calabria, diretto da Carlo Parisi, e dal sito curato da Franco Abruzzo.
Si potrebbe affermare che l’attuale situazione sia dovuta in parte alla perdita di smalto dell’informazione troppo politicizzata e sempre meno super partes. Il nostro modello, quello mediterraneo secondo Hallin e Mancini, dovrebbe essere rivisto alla luce dell’obiettività e della terzietà. Credibilità, obiettività e terzietà sono tre pilastri fondamentali. Giovanni Bechelloni, docente alla Facoltà di scienze politiche di Firenze, ha detto che in Italia “il quarto potere, nel suo significato originario specifico, non ha mai allignato del tutto e la stampa non ha mai veramente beneficiato dell’aura di autorevolezza, di autonomia e indipendenza che l’uso appropriato dell’espressione quarto potere avrebbe potuto e dovuto assicurare”.
Sinora le rilevazioni sociologiche non hanno fornito un quadro rassicurante. Ci sono scompensi, la qualità dell’informazione scade. Ma non si può sottacere che in tutto il mondo la professione di giornalista sta diventando sempre più rischiosa per vari motivi, compresi i maxi risarcimenti. L’ultimo rapporto di “Reporter sans frontiéres” non ci colloca tra i paesi virtuosi. A noi il 61° posto dopo la Francia, la Spagna e la Romania e prima della Grecia e della Bulgaria. Primi della classe Finlandia, Norvegia e Paesi Bassi.
A corredo di quanto è stato detto alcuni dati ripresi da un articolo a firma di Eugenio Balsamo dal titolo “Anche nell’era digitale l’imperativo è negare” pubblicato su “Imperi”, una rivista quadrimestrale. Nel mondo ci sono circa 3 miliardi di abitanti che vivono in paesi dove la libertà d’informazione è una chimera,  altri 2 miliardi e 800 milioni in paesi dove la libertà della stampa è parzialmente libera e infine oltre un miliardo di persone fanno parte di nazioni in cui la stampa è considerata libera.
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