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Roma chiama Bruxelles

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di Gino Falleri
“Roma chiama Bruxelles” è stato il tema conduttore di una tavola rotonda organizzata come anteprima della cerimonia di premiazione dei vincitori della quarta edizione del premio giornalistico internazionale “Argil:uomo europeo”. E nulla ha a che vedere con “Chiamate Nord 777”, un film di grande successo per la regia di Henry Hathway uscito nel 1948. Solo i titoli hanno qualcosa in comune: il verbo chiamare. 
Un tema per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di far parte dell’Unione europea, per valutare quanto sia credibile il paese Italia in seno alla comunità internazionale e sui problemi ad essa connessi. Il principale quello costituito dall’euro, considerato da non pochi come la principale causa di molti mali. Crisi economica, innanzitutto. Più grave di quella del 1929, il “martedì nero” della borsa di New York. 
Anche l’attuale, per la cronaca, prende le mosse, guarda caso, proprio dagli Stati Uniti, che comunque l’hanno già assorbita e stanno rilanciando la loro economia. Nell’Unione, che mira a limitare i nazionalismi, tutto sembra difficile quando c’è da intervenire sugli stati di crisi per via del patto di stabilità e per la presenza incombente della Troika. I parametri di Maastricht sono interpretati in maniera troppo rigida e non si è liberi di dare il via agli interventi pubblici. Sull’austerity e le sue conseguenze può essere utile sfogliare un recente libro di Federico Rampini, edito da Laterza, dal titolo “La trappola dell’austerity. Perché l’ideologia del rigore blocca la ripresa”.
La crisi che stiamo vivendo, iniziata nel 2008, ha vanificato a livello europeo anni di progressi economici e sociali. Da noi nonostante le terapie finora suggerite dagli esperti e dai professori non ne siamo ancora usciti e non si hanno a disposizione elementi certi per fare previsioni. Forse qualcosa ci potrebbe essere, una inversione di tendenza, ma è bene evitare facili entusiasmi. Fallimenti e chiusure di attività sono sempre all’ordine del giorno.
Gl’interventi decisi non sono stati operati sul prodotto per farlo crescere, quindi per creare ricchezza, ma sul versante opposto: quello impositivo. E’ stato tutto un taglio, tasse, addizionali e balzelli vari, che hanno impoverito ed impoveriscono quasi tutti. A dar corpo alla politica impositiva non si è sottratto nemmeno Renzi e tanto meno l’attuale sindaco di Roma, che sta portando le tasse comunali a livelli siderali. E questo per fornire quei servizi che sono sotto gli occhi di tutti. Se si dovesse fare un paragone tra Roma e Londra, che è fuori dell’eurozona, questa è anni luce più avanti della Capitale a cominciare dai trasporti. Niente “portoghesi”, come a Bruxelles.
Sempre in materia di pressione fiscale la Cgia di Mestre ha previsto che i proprietari di immobili nell’anno in corso per la Tasi, altra tassa a disposizione dei Comuni, dovrebbero pagare 4,6 miliardi di euro in più rispetto al 2013. Per completare il quadro si possono pure aggiungere le ripetute minacce da parte di questo o quel partito che puntano il dito sulle pensioni. Bisogna tagliarle. Tanto il pensionato muore.
Poiché l’economia è al centro di tutto, è il tema più gettonato, può essere utile, per meglio comprendere i futuri sviluppi, un articolo a firma di Danilo Taino pubblicato sul numero 15 di “Sette”, il supplemento settimanale del “Corriere della Sera”. L’autore richiama l’attenzione su delle proiezioni formulate dal Centre for Economic and Business Research. 
Tra quindici anni la prima economia nell’Unione sarà quella della Gran Bretagna. Francia ed Italia lasceranno più di una posizione e la Germania non sarà più egemone. E a proposito della Germania, prendendo lo spunto da una non appropriata battuta che ha provocato immediate reazioni da parte del Pse e del Ppe, non si può negare che i tedeschi dal settembre 1939 al maggio 1945 hanno scritto pagine di atrocità inenarrabili e hanno sulla coscienza l’Olocausto. La storia riporta tra l’altro a caratteri forti, come reazione ad una cieca dittatura, l’iniziativa della “Rosa Bianca” di Monaco contro gli orrori della guerra voluta dal nazismo ed il martirio dei fratelli Hans e Sophie Scholl, due studenti, condannati a morte dal giudice Roland Freissler perché appartenenti ad essa, nonché l’Operazione Valchiria ideata da Claus von Stauffenberg.  
Il confronto politico, a cui stiamo assistendo, si muove sul terreno delle riforme, che difficilmente saranno portate a termine, e sui conti pubblici. In particolare sul grande debito pubblico accumulato. Nel 1992 era arrivato al 105,2 per cento del Pil. Per il  resto di chi è la colpa?  La parola d’ordine che sta rimbalzando da una stanza all’altra delle istituzioni, considerata dai nostri governanti come fosse magica, è solo “spending review”. Un toccasana per risolvere qualsiasi problema. Sul suo altare si risparmia sulla sicurezza dei cittadini, sull’istruzione e sulla sanità. Tutti diritti costituzionali. Se si va ancora avanti di questo passo il fantasma della repubblica di Weimar potrebbe materializzarsi. 
Finora solo la classe politica ha resistito ai colpi della crisi, sebbene l’attuale presidente del Consiglio abbia promesso dei sostanziali tagli e con una coraggiosa decisione ha portato le retribuzioni dei pubblici dipendenti sotto l’indennità del presidente della Repubblica. Ha anche sollecitato le istituzioni (Camera e Senato) a farlo con la risposta che loro sono autonome, sebbene le risorse siano pubbliche. 
Quando l’economia non cammina - la gente non riesce ad arrivare alla fine del mese e si accorge che la classe politica non ha le giuste professionalità per risolvere i problemi - c’è sempre un grande stato di disagio, di incertezza, con proteste oltremodo diffuse e non sempre pacifiche, che  non sfuggono all’attenzione di chi ritiene di poterle utilizzare per fini elettorali. I “Grillini” sono molto attenti e con rappresentanti che talvolta riportano alla memoria quanto è accaduto alla fine del Settecento. In più di una occasione costituiscono il termometro della situazione e mettono all’angolo Pd, Ncd e Fi. Se sono nel giusto lo si vedrà la sera del 25 maggio. 
L’Unione europea non è esente da carenze. La sua politica, può essere un’impressione, è più rivolta ai creditori che ai debitori. Nello stesso tempo difetta di una efficace politica estera, non ha leggi sociali uguali per tutti e non ha nemmeno una tassazione equa che possa essere adottata per i suoi 500 milioni di cittadini. Ha comunque innegabili pregi ed il primo è quello della pace. Dal maggio 1945 l’Europa, quando a Reims i tedeschi hanno sottoscritto l’armistizio, non è stata più sconquassata da delle guerre. Poi c’è la strategia “Europa 2020”. Una serie di obiettivi da conseguire nei prossimi cinque anni. Uno riguarda il lavoro. Quello di garantirlo al 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni. 
L’Europa unita, gli Stati Uniti d’Europa, è il futuro. Se esiste un atteggiamento non favorevole all’Unione, e purtroppo esiste, si  può sintetizzarlo in una duplice ragione. La prima riguarda i nostri amministratori e rappresentanti. Non sempre sanno afferrare le occasioni di finanziamento e di conseguenza ne sono responsabili. Inoltre non sempre sanno illustrare la dimensione dei nostri problemi. Gl’interessi del paese un passo indietro.
La seconda riguarda il mondo dell’informazione ed è la ragione vera di “Roma chiama Bruxelles”, come peraltro la costituzione dell’Eapo&IC, una associazione a livello europeo a cui possono aderire giornalisti e comunicatori. Senza chiamare in causa Thomas Jefferson sovente non riesce a ben coprire gli eventi e non sempre riferisce quello che veramente accade nei palazzi che contano della capitale dell’Unione. Cosa si fa e perché lo si fa. Concede più spazio agli euroscettici mentre si dovrebbe darlo alle varie iniziative che portano benefici e creano consenso all’Unione. 
Cosa potrà accadere nei prossimi cinque anni nell’Europa dei 28 lo diranno le urne la sera del 25 maggio. Di certo qualche folata di un vento contrario all’Unione c’è e non è assolutamente una novità. Come tutti sanno che ha una elefantiaca burocrazia che ritiene di poter intervenire ovunque affinché tutto sia omogeneo. Il quadro della situazione, con le sue luci e le sue ombre, lo sta fotografando “Viaggio nella EU”, un reportage a firma del già citato Danilo Taino, pubblicato da “Sette”. Una impietosa e documentata fotografia sulle condizioni di chi sta nell’eurozona e di chi ne sta fuori e può manovrare ed indirizzare la sua economia. Un esempio è costituito dalla Polonia.
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