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Soffiano venti di guerra

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di Gino Falleri (Presidente Nazionale GUS-Giornalisti Uffici Stampa-Gruppo FNSI)
E’ stato più volte affermato che l’Unione europea non abbia ancora una sua politica estera e incontra non poche difficoltà ad imbastirne una condivisa da tutti. Tre in questi giorni sono i problemi all’attenzione delle istituzioni di Bruxelles, oltre all’ondivago andamento dell’economia che vede in difficoltà Grecia, Spagna e Portogallo: profughi, Gheddafi e quella specie di “apocalisse” che si è abbattuta nelle ultime settimane sul Giappone. E con quest’ultima, a causa della fuoriuscita della radioattività dalla centrale di Fukushima, ha ripreso slancio il dibattito sull’energia nucleare, soprattutto qui da noi sempre oltremodo sensibili su talune tematiche, che possono avere implicazioni sulla nostra salute. Non si dimentichi al riguardo la tav.
A fianco del confronto sul nucleare vi è quello conseguente sulle energie alternative, quali sono appunto quella eolica e solare, con i loro costi e benefici. Soprattutto sulla spesa da sostenere allorquando le attrezzature del fotovoltaico, ovvero dell’energia tratta dal Sole, diventeranno obsolete e dovranno essere sostituite creando così non pochi problemi tecnici ed ambientali per la loro rottamazione. Sono tossiche secondo il parere degli esperti.
Quale sarà la conclusione operativa dei dibattiti non è facile ipotizzare, anche se una previsione in definitiva non sia poi tanto difficile farla per quanto ci riguarda. Il nucleare non ha molti punti a suo favore per avere pratica attuazione per la dichiarata opposizione del centrosinistra e delle Regioni, a cui il Titolo V della Costituzione ha conferito molti poteri in materia di energia. Poi ci sono i risultati di un passato referendum sull’onda di Chernobyl che lo impedisce ed il governo non ne può non tenere contro. Nel contempo, per meglio affrontare il problema nucleare sì nucleare no, è bene tenere nella dovuta considerazione che siamo circondati da reattori  installati nei paesi a noi vicini. In caso di incidente i loro effetti negativi non potrebbero essere evitati.
E’ senz’altro encomiabile che le amministrazioni regionali abbiano cura della salute dei cittadini, attente come sono al loro benessere. Una attenzione che è sotto gli occhi dei diretti interessati. Intanto, proprio per lo tsunami, il conseguente terremoto e i moti di democrazia che hanno investito i paesi rivieraschi del Mediterraneo, l’inflazione è aumentata e i prezzi degli alimentari e dei carburanti a loro volta corrono verso l’alto. La benzina anche per le aumento dell'accise per i doverosi contributi all’industria dello spettacolo, che comunque non primeggia. L’ultimo indice Heritage - prende in considerazione la libertà fiscale, di investimento e finanziaria, nonché la regolamentazione del mercato e la lotta alla corruzione – ci colloca all’87° posto della graduatoria mondiale. Quattordici posti più in basso rispetto all’anno precedente.
Sul primo punto dell’agenda, quello dei profughi, che continuano a sbarcare a Lampedusa, non senza qualche protesta, finora sono state dette parole su parole, tanto da ricordare l’omonima canzone cantata da Mina e sul cui testo aveva messo le sue sapienti mani Giancarlo Del Re, un giornalista di talento recentemente scomparso. Detto fuori dai denti a Bruxelles, e senza l’uso dell’ultra bilanciato linguaggio della diplomazia, le autorità non sanno cosa fare. Se poi le previsioni degli sbarchi, e quindi delle richieste di asilo, toccheranno quota cinquantamila ed oltre potrebbero entrare in tilt, come peraltro quelle italiane. Più che deficitarie sul problema della sicurezza e lo attestano le cronache quotidiane.
Allo stato attuale hanno promesso soldi, aiuti. Nel frattempo di fronte a noi c’è il non facile compito di affrontare l’emergenza con le risicate risorse che abbiamo in bilancio e con una previsione d’incremento del Pil alquanto limitata, almeno per l’anno corrente. C’è stata la recente visita  di Barroso con i colloqui con il presidente del Consiglio dove ha preso direttamente cognizione della posizione dell’Italia sul problema profughi, il non favore al direttorio Francia Germania e nemmeno alle  iniziative di forza che era pronto ad assumere e ha assunto il presidente Sarkozy nei confronti della Libia, anche se legittimato dal Consiglio di sicurezza dell’Onu la decisione sulla “no fly zone”. Di qui il placet ad un intervento armato da parte della Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti per fini umanitari. L’Italia, dopo la risoluzione, ha messo a disposizione alcune basi aeree, uomini, mezzi e alcuni li ha impiegati. Non senza impuntarsi affinché il comando delle operazioni fosse affidato, come è stato, alla Nato.
Ebbene, il colonnello Gheddafi costituisce un problema da non sottovalutare, e lo ha subito dimostrato con la sua contromossa subito dopo la decisione delle Nazioni unite, e non basta per risolverlo avergli congelato i conti esteri. Deve essere attentamente soppesato per non generare altri problemi ancora più gravi degli attuali e difficilmente gestibili. La forza non ha mai pagato, anche se usata per ragioni umanitarie. Lo attesta qual è la considerazione che si ha in Iraq ed Afganistan nei confronti degli americani, che ritengono di essere i tutori delle libertà altrui e non mancano a loro volta di violare in non pochi casi i diritti umani. Il portavoce di Hillary Clinton, P.J. Crowley, per aver formulato un giudizio sul Pentagono, che tiene dietro le sbarre Bradley Mannings, è stato costretto a dimettersi. Mannings è la fonte  primaria di Wikileasks.
Saranno i prossimi eventi ed il tempo, sempre galantuomo, a dire se i propositi bellicosi del presidente della Francia e la risoluzione del Consiglio di sicurezza, nonché la copertura fornita dall’Unione africana e dalla Lega araba, siano da considerare sagge decisioni per la tutela dei diritti dei cittadini libici. Abbiano un nobile fondamento o invece sotto sotto hanno altre ragioni. Di mercato. Intanto i guerrieri per la pace hanno messo mano alle armi. I venti di guerra, è bene ricordarlo, sono sempre da evitare. Potrebbero trasformarsi in una tempesta.
Nel contempo, prendendo spunto da P.J. Crowley, non si può dire che i giornalisti non siano sotto tiro. In Libia ne sono stati arrestati alcuni e di altri finora non si ha nessuna notizia. Poi si può aggiungere l’emblematico caso del “Primorski Dnevik”, il giornale di lingua slovena che si pubblica a Trieste. Nella giornata in cui si è festeggiato il 150° anniversario dell’Unità d’Italia ha ricevuto una busta con due proiettili calibro 9. Una intimidazione e l’immediato comunicato di solidarietà da parte della Fnsi.
E’ vero che esiste il diritto di informare, ritenuto prevalente a quello della privacy, nonché risoluzioni e raccomandazioni delle istituzione europee, ma è altrettanto innegabile che la professione di giornalista sta incontrando in tutte le latitudini non poche difficoltà. Un approfondimento asettico potrebbe essere utile. E’ perché i giornalisti scoprono verità che dovrebbero rimanere celate o perché assurgono a cassa di risonanza? E’ un interrogativo da sciogliere.
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