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Il programma Fulbright: una visione sempre attuale

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di Cristiana Era
All’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale, negli Stati Uniti veniva approvata una legge che istituiva il Programma Fulbright, dal nome del Senatore William J. Fulbright che la presentò al Congresso. Il Programma si incentrava sugli scambi internazionali, volti a migliorare la conoscenza reciproca tra i popoli. Nel 1946, ad un anno appena dalla conclusione di un conflitto che aveva causato la morte di decine di milioni di persone, la corrente internazionalista riacquistava forza, nascevano le Nazioni Unite, e la ricostruzione favoriva non solo l’economia dei Paesi stremati dalla guerra, ma anche un maggiore flusso di idee e di pensiero. 
Il giovane Fulbright ebbe modo di rendersi conto dell’importanza della conoscenza di altre culture grazie alla Rhodes Scholarship che gli permise di soggiornare e di studiare ad Oxford, in Inghilterra. Questa esperienza gli insegnò che il contatto con altri mondi aveva un impatto decisivo sull’apertura mentale dei giovani e una volta al Senato si impegnò per la realizzazione di un progetto che prevedeva l’istituzione di borse di studio, di ricerca e di insegnamento, con la speranza che lo scambio culturale reciproco favorisse il processo di pace e contribuisse ad impedire lo scoppio di nuovi conflitti. Come ebbe a dire, infatti, “The rapprochement of peoples is only possible when differences of culture and outlook are respected and appreciated rather than feared and condemned, when the common bond of human dignity is recognized as the essential bond for a peaceful world”. 
Ma il Senatore dell’Arkansas non fu mosso solo dalla visione di una comune umanità, come ci ricorda Cipriana Scelba, la colonna portante del Programma Fulbright in Italia. Ciò che lo spinse a prendere l’iniziativa fu anche il desiderio di mostrare ai propri connazionali quanto fosse possibile imparare, vivendo e studiando in un contesto culturale e sociale diverso dal proprio. E allo stesso tempo avere la possibilità di offrire in cambio il proprio bagaglio culturale e la propria conoscenza. In altre parole, si veniva a creare uno scambio culturale in cui tutte le parti coinvolte si arricchiscono e gettano le basi per una migliore reciproca comprensione di cui beneficiano le società stesse. Non si esagera, infatti, quando ci si riferisce al Programma Fulbright come al programma di studio all’estero più prestigioso a livello internazionale. Molti di coloro che da giovani studenti hanno potuto usufruire di una borsa Fulbright hanno, infatti, ricoperto ruoli importanti nel loro settore di riferimento, non di rado facendo la differenza. 
Tra  i Fulbrighter (così vengono chiamati i borsisti) italiani figurano tre premi nobel: Carlo Rubbia, Tullio Regge e Carlo Giacconi. Ma anche altri noti personaggi nei settori più vari, dalle scienze all’economia, dalla politica alle arti, hanno cominciato la loro carriera da lì. Basti citare Margherita Hack, Edoardo Amaldi, Gianfranco Pasquino, Giorgio Spini, Marcello Pera, Giuliano Amato, Lamberto Dini, Gino Valle, Umberto Eco. E naturalmente anche illustri personaggi americani furono Fulbrighters: Joseph La Palombara, Richard Serra, Lorin Maazel, Mark Strand, Irving Levine, Franco Modigliani e James Buchanan. Politici e politologi, economisti, registi teatrali, poeti, scrittori, architetti, fisici: tutti hanno fatto parte di quella visione, e tutti hanno riportato in patria molto del Paese che li ospitava, lasciando in cambio qualcosa di sé. 
Fino agli anni ’50 si parlava di pionieri, in un mondo dove la globalizzazione ancora non esisteva, e l’inglese, almeno a casa nostra, non era così diffuso anche tra gli studenti migliori. E non esisteva neanche uno stile di vita “occidentale” standardizzato, per cui mettere a confronto l’Italia e l’America di allora voleva dire trovare molte più differenze che similitudini. Ma erano – e sono ancora oggi – le differenze e l’accettazione delle medesime a formare una mente aperta. Ad oggi, il Programma Fulbright mantiene intatto il suo valore formativo, sia sul piano personale che professionale. In Italia, la Commissione Fulbright seleziona e gestisce le giovani menti tra le quali, in futuro, continueremo a trovare le eccellenze in tutti i settori.
Ad oggi, ben 155 Paesi collaborano a questo scambio, che ha coinvolto circa 294 mila borsisti dal 1946. Di questo Programma se ne parla ancora troppo poco considerando le opportunità che offre e il contributo che riesce a dare allo sviluppo e alla conoscenza. E anche se per molti aspetti i confini nel mondo si sono ridotti, per altri versi più che mai sarebbe opportuno coltivare nuovamente quella visione che porta al superamento delle diffidenze senza temere la diversità. Perché nonostante il livello di benessere raggiunto in varie parti del mondo le barriere dell’ignoranza sono ancora molte.
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