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Strategia USA, la dottrina Monroe

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di Pier Vittorio Romano
La tesi di fondo individua nell’aggressione all’Iraq il battesimo del fuoco di una dottrina Monroe planetaria che, disancoratasi dal continente americano, si allarga a tutto il globo. Nata il 2 dicembre del 1823 sullo sfondo dei primi movimenti di liberazione e della volontà delle potenze della Santa Alleanza (Austria, Francia, Prussia e Russia) di estendere all’America Latina la “restaurazione” del controllo coloniale, la dottrina Monroe postula, come “pericolo per la pace e per la sicurezza” e “atteggiamento ostile” verso gli Stati Uniti, ogni tentativo da parte di qualsiasi potenza europea di imporre al continente americano “il loro sistema”. Da anticoloniale, la dottrina Monroe diviene invece la bandiera ideologica dell’espansionismo americano. I nuovi Stati indipendenti rappresentano infatti per l’immediato futuro un importante e preferenziale sbocco commerciale per la nascente industria americana. Ma il vero debutto “di fuoco” della dottrina si ha nel 1845 con l’annessione del Texas, staccatosi dal Messico su pressione dei coloni americani, e l’anno successivo con l’invasione del Messico per strappargli il Nuovo Messico e la California e portare sul Rio Grande il confine tra i due paesi. Un passaggio chiave per alimentare le mire espansionistiche sui Caraibi e sul canale interoceanico per l’ingresso sul mercato asiatico. Un’ulteriore tappa avviene dopo la pausa della guerra civile e in piena depressione economica. Dal 1875 sono i businessmen, i banchieri, gli industriali e gli spedizionieri che intravedono nell’accesso più diretto al mercato mondiale una possibile fuoriuscita dalla crisi. Tra i più importanti gruppi di pressione, nel 1895 nasce la National Association of Manifacturers, influente organizzazione degli industriali, con lo scopo di promuovere la conquista di mercati esteri. In questo contesto si riaffaccia la dottrina Monroe e il pretesto è fornito dalla controversia tra il Venezuela e la Gran Bretagna circa i confini della Guayana britannica. Lungi dall’essere una mera questione di “boundary line”, il controllo politico ed economico del sistema fluviale dell’Orinoco rappresenta un’altra testa di ponte per il mercato latino americano. In tale contesto è illuminante la dichiarazione del segretario di stato Onley: la controversia “non è di piccola importanza”, perché concerne “un dominio di vasta estensione”, ovvero “l’intero sistema di navigazione interno del sud America”. Rincara la dose l’influente senatore Henry Cabot Lodge che senza mezzi termini dichiara che “la supremazia della dottrina Monroe deve essere confermata e subito pacificamente se possibile, con la forza se necessario”. E in questo quadro trovano una giustificazione, oltre alle annessioni di Guam e Portorico, il protettorato di Cuba e l’annessione delle Filippine.
E’ poi la volta della presidenza di Theodore Roosevelt (1901–1909) che, ancora nel tentativo di superare la crisi di sovrapproduzione dell’ultimo decennio dell’ottocento, incanala tensioni e contraddizioni in una peculiare forma di imperialismo, imperniata sulla dialettica tra democrazia interna, con esclusione di neri e mulatti, “selvaggi senza diritti”, nell’ambito di un suffragio universale “maschile”, ed enunciazione di “una nuova frontiera” aperta sull’Asia grazie alla costruzione del canale di Panama. Per Roosevelt è proprio la fine della frontiera la causa della crisi della società americana. Il “casus belli” è dato ancora dal Venezuela in rotta con le potenze europee. Di fronte alla “politica delle cannoniere” di queste ultime per costringere il paese caraibico al pagamento dei propri debiti, il Presidente repubblicano, espressione del capitale monopolistico, risponde con l’integrazione della dottrina Monroe, con quello che passerà alla storia come corollario Roosevelt, contenuto nel messaggio al Congresso del 6 dicembre 1904. Il messaggio, disponendo l’identità tra interessi americani e interessi dei “loro vicini”, riconosce agli USA un potere di “polizia internazionale” in tutto il continente americano, giustificando così l’intervento militare e il controllo politico “se diventa evidente che la loro inabilità o mancanza di volontà nel fare giustizia in casa e all'estero ha violato i diritti degli Usa o ha provocato aggressioni straniere a danno dell'intero corpo delle nazioni americane”, anche perché, aggiunge il corollario, “il diritto a tale indipendenza non può essere separato dalla responsabilità di farne buon uso”.
L’estensione della dottrina Monroe con il corollario Roosevelt è il presupposto storico dell’allargamento dell’imperialismo americano sui Caraibi e della prima penetrazione, tramite il canale di Panama, del capitale monopolistico nel mercato asiatico. E questo spiega, seppur indirettamente, la riorganizzazione dell’apparato militare, in special modo la Marina, e la sua importanza per l’espansione commerciale, come già sottolineava il capitano Alfred Mahan nel 1897.
Peculiare applicazione della dottrina Monroe integrata con il corollario Roosevelt è, infine, la “diplomazia del dollaro di Taft e Knox”. La “diplomazia del dollaro” si presenta come “una moderna concezione di interscambio commerciale” finalizzata a realizzare un incremento del commercio americano nel continente latinoamericano, “sul presupposto che il governo degli Stati Uniti offrirà ogni giusto sostegno a qualsiasi legittima e vantaggiosa impresa americana all’estero”.
Invocata dal capitale monopolistico, la “diplomazia del dollaro” è infatti la soluzione politica, economica e anche militare, per metterne al riparo la penetrazione e il consolidamento in un continente attraversato, come spiega Taft stesso, “dalla minaccia costituita da un oneroso debito estero e dallo stato caotico delle finanze nazionali, nonché dal sempre presente pericolo di complicazioni internazionali dovute ai disordini interni”. I Caraibi si configurano sempre più come un “mare americano” e gli interventi militari e le occupazioni seguono ad ogni crisi che minacci gli interessi americani: nel 1906 e nel 1912 a Cuba; dal 1907 fino al 1924 è la volta di Santo Domingo; nel 1909  e dal 1912 al 1933 in Nicaragua; nel 1910 in Messico; nel 1915 ad Haiti.
Al termine della prima guerra mondiale, gli Stati Uniti mostrarono la propria forza militare, produttiva ed economica; la “dottrina Monroe” esce dal normalizzato “Western Hemisphere” per proporsi come modello adattabile a tutto il globo. A tracciarne il futuro è il presidente Wilson, già convinto della completa identità tra “principi americani” e “principi dell’umanità”, e promotore della Società delle Nazioni: “accordandosi tra loro, le nazioni dovrebbero adottare la dottrina del presidente Monroe come la dottrina del mondo". Non è quindi un caso che la neonata organizzazione internazionale, per quanto subito orfana degli USA, riconosca nel 21° articolo la legittimità della stessa dottrina.
Nel secondo dopoguerra, infine, senza sostanziali novità, gli Stati Uniti riesumano la dottrina Monroe – Roosevelt in funzione di strumento di contenimento del pericolo comunista nell’America latina, in occasione delle operazioni militari in Guatemala (1954), a Cuba durante i primi anni del governo rivoluzionario e ancora a Santo Domingo (1965). Tocca a Kennedy, all’indomani dell’assalto alla “Baia dei Porci”, ricordare che “se le nazioni di questo emisfero non adempiono i loro obblighi contro la penetrazione dall’esterno del comunismo”, deve essere chiaro che il “governo non esiterà a far fronte ai suoi obblighi”.
Solo a questo punto, al termine dell’excursus storico qui esposto, si può, a nostro parere, individuare il mutamento, di fase e di prospettiva, della dottrina Bush, di cui l’attacco all’Iraq costituisce la prima applicazione. Tutt’altro che una risposta difensiva ad una minaccia reale, la nuova pianificazione strategica degli Usa contenuta nel documento “La strategia per la sicurezza nazionale degli Usa” diffuso dalla Casa Bianca nel settembre 2002, nella consapevolezza di “una forza militare non paragonabile”, espone un programma di espansione imperialistica degli USA su scala mondiale, imperniato sulla teorizzazione della “guerra preventiva” e “di durata indefinita” contro un nemico ubiquitario e sulla definizione di alleanze variabili con le altre potenze, con o senza NATO, con o senza ONU. L’obiettivo è dichiarato ed è quello della “liberalizzazione dei mercati e del commercio”, enunciato come una “priorità centrale per la sicurezza nazionale” e già enucleato, seppur in chiave di riposizionamento geo-strategico, nel Quadrennial Defense Review Report che recita: “come potenza globale, gli Stati uniti hanno importanti interessi geopolitici in tutto il mondo. Gli Stati uniti hanno interessi, responsabilità e impegni che abbracciano il mondo” e cioè: “precludere il dominio di aree cruciali, particolarmente l'Europa, l'Asia nordorientale, il litorale dell'Asia orientale, il Medio Oriente e l'Asia sudoccidentale [...] Contribuire al benessere economico tramite l'accesso ai mercati e alle risorse strategiche chiave [...] Cambiare il regime di uno stato avversario od occupare un territorio straniero finché gli obiettivi strategici statunitensi non siano realizzati". Una chiara svolta rispetto ai documenti precedenti del 1991, 1992 e anche, in parte, del 2001 integrato dopo l’11 settembre che, nell’individuare avversari e concorrenti, delineavano ancora un disegno di mantenimento dell’egemonia statunitense. Ma proprio questa svolta spiega perché la dottrina Bush si presenta come una nuova dottrina Monroe planetaria.
In questa ultima e radicale versione, infatti, è il globo tutto e non più solo il continente americano a diventare “il cortile di casa” degli Usa; ma se, e qui sta la natura offensiva della dottrina Bush, gli interessi americani sono minacciati nel “cortile di casa” che è il globo, allora gli Stati Uniti hanno il diritto-dovere di intervenire, quando vogliono e come vogliono, per risistemare il mondo intero in funzione dell’espansione degli interessi nazionali americani e delle imprese multinazionali. Va da sé che l’affermazione dell’unilateralismo e della missione civilizzatrice degli Usa, prima solo nel continente americano, oggi su scala globale, non è, come alcuni credono, espressione del deficit di strategia, o peggio del dilettantismo dell’amministrazione Bush, ma è proprio la specificità della nuova dottrina Monroe planetaria che, dilatando sempre più lo spazio dell’intervento statunitense e della non ingerenza degli avversari, designa gli Stati Uniti come unico arbitro legittimato ad agire nelle zone strategiche della grande scacchiera.
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