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Spending Review e riforma del welfare

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di Aroldo Barbieri
Chiediamo ai cinesi di consumare di più, agli arabi, ai russi e agli africani di fornirci di energia a prezzi compatibili con il nostro sviluppo, critichiamo gli americani perché intendono la sanità ancora secondo un concetto privatistico, ma noi europei non abbiamo ancora chiaro che il “welfare state” del passato, con le virtù e gli sprechi non solo patologici che tutti conosciamo ed abbiamo tollerato, non ci sarà più possibile nel mondo globalizzato. Se vogliamo continuare a distinguerci e mantenere le peculiarità che fanno dell’Europa e dell’Italia in particolare un termine importante di riferimento della civiltà occidentale, dobbiamo ripensare il nostro modo di vivere, il rapporto tra Stato e cittadino (da noi purtroppo per molti versi ancora “suddito”,elemento primo questo del prevalere dei furbi, delle “caste” sul merito), che proprio nel “welfare state” ha la sua pratica realizzazione e il punto dei equilibrio anche in termini di equità. Dato atto a Mario Monti di aver ottenuto a Bruxelles insieme a Hollande e Rajoy un successo significativo, deve essere altrettanto chiaro che nella UE attuale (con i finnici che pesano 10 volte il loro peso effettivo), la salvezza verrà in primo luogo da noi stessi. Bene quindi la revisione della spesa, purché inserita in un disegno di rivisitazione complessiva del “welfare state” e non limitata ai tagli e alla sforbiciate. Risparmiare si può e si deve (Bondi è in questo caso una garanzia), ma soprattutto è necessario investire in un diverso rapporto tra Stato e cittadino. Una vera “spending review” deve rimettere in equilibrio i conti dello Stato in modo durevole, garantire il pareggio di bilancio in tempi brevi, senza sacrificare gli investimenti materiali e immateriali utili allo sviluppo e al progresso del Paese.  Insomna deve dare vita in progress ad un diverso e più attuale “welfare state”.
Se Mario Monti, come ha fatto in Europa, andrà dritto per questa strada, che entra in rotta di collisione con gli interessi costituiti, tollererà che gli vengano sottoposte alcune questioni prioritarie:
a) dimagrimento della p.a. L’Italia di oggi e verosimilmente quella di domani non può più “supportare” oltre 3 milioni di pubblici dipendenti. Il caso di Regioni, Comuni etc., che si sono sostituiti allo Stato nelle assunzioni più o meno clientelari è eclatante. Tagliare a partire dai dirigenti è sicuramente utile e non solo ai fini del risparmio, sicuramente più del blocco del turn over, per puntare a nuove e più snelle piante organiche, con relative modifiche nelle mansioni;
b) tagli alle spese della politica. Il concetto va inteso in senso lato, come riduzione del peso del campare e del far carriera attraverso la “politica”, con riferimento a quella del sottogoverno e del sistema dei partiti, non quella “alta” della Repubblica di Platone e di Cicerone. Il cittadino comune e “perbene” si attende molto da questo versante, al di là dei risparmi effettivi in termini monetari.
c) ripensare il sistema sanitario nazionale. Va bene l’introduzione dei costi standard, ma il ricorso alla strutture private convenzionate spesso supplisce ai clamorosi ritardi della pur pletorica struttura pubblica, già “amputata” nelle Regioni che hanno sforato i livelli di spesa programmata e in cui i cittadini già pagano le addizionali regionali. Tutto il sistema  va ripensato, a partire dal ruolo del medico di base, oggi avvilito quasi sempre nella costosa funzione del “compila ricette” su richiesta del paziente o su indicazione dello specialista. Eppure  anche i medici di base sono in possesso di una o più specializzazioni. Eppoi è mai possibile che metà degli assistiti non paghino il ticket, a cominciare dagli extracomunitari, oramai campioni di evasione. Hanno capito che basta un solo rapporto di lavoro regolare per avere il rinnovo dei diritti e che, dunque, anche a loro conviene collaborare al “nero”. Il peggio sarebbe l’aumento tanto forte dei ticket (per coloro che li pagano) da tagliare fuori dall’assistenza gratuita la gran parte della classe medio-bassa, facendo rimpiangere il ruolo delle mutue e confinando il sistema sanitario nazionale all’assistenza di nullatenenti e immigrati.
d) privatizzare quel che costa, non rende ed è destinato a non rendere nel futuro. Senza debolezze verso i preconcetti del primato del pubblico o del privato, ma con lo sguardo alla realtà delle cose, che oggi non è particolarmente favorevole sia al patrimonio immobiliare che al corso delle azioni delle società quotate. Assolutamente da evitare le privatizzazioni in stile fine URSS, svendite coiè a favore di amici e boiardi, che hanno caratterizzato anche da noi alcuni passati episodi. 
Nel bel mezzo di una crisi epocale, che non permette l’adozione di misure “keynesiane” di spesa pubblica, spendere di meno e meglio è un imperativo categorico in vista dell’intervento strutturale dalla parte delle entrate, sin qui effettuato quasi esclusivamente attraverso l’incremento del carico fiscale in particolare sulla casa, con l’IMU. Questa imposta, che era nata in chiave “federalista”, è stata trasformata in una patrimoniale. Sarebbe opportuno riportare l’IMU nell’ambito comunale, rapportandola ai servizi che il Comune eroga al cittadino (il che permetterebbe non solo di dare risorse ai Comuni, ma anche di spingere questi ultimi a migliorarsi, correggendo anche le assurdità che oggi il vecchio catasto comporta), affiancandola con una patrimoniale “leggera” su tutta la ricchezza non solo quella immobile, a vantaggio della fiscalità generale. Tale criterio appare politicamente più equo. Puntare troppo sull’ISEE (a parte le difficoltà tecniche del sistema) porterà ad escludere larghe fascie della media-piccola borghesia dai servizi e dal rapporto con lo Stato, spaccando nel mezzo la realtà sociale. E’ quello che sta accadendo negli USA e in Francia e un po’ dappertutto, ma è una strada sbagliata. Il cittadino deve contribuire in ragione della propria capacità reddituale, non può contribuire e nel contempo essere escluso dai servizi. Diversamente cesserà di sostenere lo Stato. Un rischio troppo grosso.

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