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Il burnout, questo sconosciuto

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di Pier Vittorio Romano
Sempre più spesso, esercitando alcune particolari professioni, si affaccia un nemico sconosciuto: il burnout. Tipico delle helping profession - infermieri, medici, psicologi, psichiatri, assistenti sociali, preti, rappresentanti delle forze dell’ordine - il burnout (alla lettera essere bruciati, esauriti, scoppiati) è il “non farcela più”, l’insoddisfazione e l’irritazione quotidiana, la prostrazione e lo svuotamento, il senso di delusione e di impotenza di molti lavoratori, appartenenti alle categorie prima citate, che realizzano attività nelle quali il rapporto con l’utente/cliente ha un’importanza fondamentale in termini di significato e di lavoro in sé, implicando un intenso coinvolgimento emotivo: l’interazione tra operatore ed utente è focalizzata sui problemi contingenti di quest’ultimo, psicologici, sociali o fisici ed è, perciò, spesso gravata da sensazioni d’ansia, imbarazzo, paura o disperazione. Poiché non sempre la soluzione dei problemi dell’utente è semplice o facilmente ottenibile, la situazione diventa ancora più ambigua e frustrante e lo stress cronico può logorare emotivamente l’operatore e condurlo al burnout. Tale sintomatologia viene normalmente definita come una sindrome di esaurimento emotivo, di depersonalizzazione e di ridotta realizzazione personale, che può insorgere in coloro che svolgono una qualche attività lavorativa “di aiuto”: dunque uno stato di malessere, di disagio, che consegue ad una situazione lavorativa percepita come stressante e che conduce gli operatori a diventare apatici, cinici con i propri “clienti”, indifferenti e distaccati dall’ambiente di lavoro. In casi estremi, tale sindrome può comportare gravi danni psicopatologici quali insonnia, problemi coniugali o familiari, incremento nell’uso di alcool o di farmaci, e deteriora la qualità delle cure o del servizio prestato dagli operatori, provocando assenteismo e alto turnover. Questa sindrome è stata osservata per la prima volta negli Stati Uniti in persone che svolgevano diverse professioni d’aiuto: infermieri, medici, insegnanti, assistenti sociali, poliziotti, operatori di ospedali psichiatrici, operatori per l’infanzia. Attualmente non esiste una definizione universalmente condivisa del termine burnout. Freudenberger è stato il primo studioso a usare il termine “burnout” per indicare un complesso di sintomi, quali logoramento, esaurimento e depressione riscontrati in operatori sociali americani. Successivamente Cherniss con “burnout syndrome” definiva la risposta individuale ad una situazione lavorativa percepita come stressante e nella quale l’individuo non dispone di risorse e di strategie comportamentali o cognitive adeguate a fronteggiarla. Secondo Maslach, il burnout è un insieme di manifestazioni psicologiche e comportamentali che può insorgere in operatori che lavorano a contatto con la gente e che possono essere raggruppate in tre componenti: esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale. L’esaurimento emotivo consiste nel sentimento di essere emotivamente svuotato e annullato dal proprio lavoro, per effetto di un inaridimento emotivo del rapporto con gli altri. La personalizzazione si presenta come un atteggiamento di allontanamento e di rifiuto, quali risposte comportamentali negative e sgarbate nei confronti di coloro che richiedono o ricevono la prestazione professionale, il servizio o la cura. La ridotta realizzazione personale riguarda la percezione della propria inadeguatezza al lavoro, la caduta dell'autostima ed il sentimento di insuccesso nel proprio lavoro. Il soggetto colpito da burnout manifesta sintomi aspecifici (irrequietezza, senso di stanchezza ed esaurimento, apatia, nervosismo, insonnia), sintomi somatici (tachicardia, cefalee, nausea, ecc.), sintomi psicologici (depressione, bassa stima di sé, senso di colpa, sensazione di fallimento, rabbia e risentimento, alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno, indifferenza, negativismo, isolamento, sensazione di immobilismo, sospetto e paranoia, rigidità di pensiero e resistenza al cambiamento, difficoltà nelle relazioni con gli utenti, cinismo, atteggiamento colpevolizzante nei confronti degli utenti). Tale situazione di disagio molto spesso induce il soggetto ad abuso di alcool o di farmaci. Per l’insorgenza del burnout possono avere importanza fattori socio-organizzativi quali le aspettative connesse al ruolo, le relazioni interpersonali, le caratteristiche dell’ambiente di lavoro, l’organizzazione stessa del lavoro. Inoltre sono state studiate le relazioni tra variabili anagrafiche quali sesso, età, stato civile e insorgenza del burnout. Tra queste l’età è quella che ha dato luogo a maggiori discussioni tra i diversi autori che si sono occupati dell’argomento. Alcuni sostengono che l’età avanzata costituisca uno dei principali fattori di rischio di burnout mentre altri ritengono, invece, che i sintomi di burnout siano più frequenti nei giovani, le cui aspettative sono deluse e stroncate dalla rigidezza delle organizzazioni lavorative. Oggi il burnout rappresenta un rischio troppo elevato per ogni contesto organizzativo: i costi economici, la produttività ridotta, i problemi di salute e il generale declino della qualità della vita personale o lavorativa (tutte possibili conseguenze di questa sindrome) sono un prezzo troppo alto da pagare. Edelwich e Brodsky identificano 5 stadi di questo cortocircuito: l’entusiasmo, la stagnazione, la frustrazione, l’apatia e l’intervento. Questi stadi hanno due caratteristiche: anzitutto sono molto contagiosi e, in secondo luogo, la loro progressione non è lineare, ma ciclica. Il ciclo può essere interrotto in ogni punto con un intervento appropriato, ma può ripresentarsi più volte nella vita. E' dunque consigliabile l'adozione di un approccio preventivo per affrontare il problema burnout. E' fondamentale fare un investimento sulle persone per poter contare su lavoratori ben preparati, leali e dediti, capaci di realizzare un lavoro di qualità. Questo tipo di investimento deve prendere in considerazione i valori umani presenti nell'ambito dell'attività lavorativa, cercando così di rafforzare l'organizzazione per una futura sopravvivenza. Il modo migliore per prevenire il burnout è sicuramente puntare sulla promozione dell'impegno nel lavoro. Ciò non consiste semplicemente nel ridurre gli aspetti negativi presenti sul posto di lavoro, ma anche nel tentare di aumentare quelli positivi. Le strategie per aumentare l'impegno sono quelle che accrescono l'energia, il coinvolgimento e l'efficacia. Anche l'organizzazione deve mostrare ai suoi dipendenti lo stesso tipo di impegno, rispetto e interessamento che essa pretende da loro. Lo scopo di una buona strategia organizzativa a livello preventivo è quello di creare strutture e processi gestionali in grado di incrementare l'impegno nel lavoro. La gestione delle risorse umane in ambito lavorativo ha assunto negli ultimi anni un ruolo di fondamentale importanza, tanto da rientrare negli obiettivi primari di qualsiasi  azienda. Nessun ambiente organizzativo può oggi ignorare gli effetti negativi derivanti da una mancata presa di coscienza di queste problematiche. Gestire le risorse umane e quindi l'attività professionale richiede impegno costante nel tempo e costi fisici e psichici non sempre facilmente definiti o definibili. Tuttavia nessuna previsione di budget, in qualunque azienda, può sostenere il raggiungimento dei propri obiettivi senza considerare le risorse umane.

Per riconoscere il proprio eventuale disagio è possibile eseguire il test seguente di Potter.

Leggi una frase alla volta e scrivi subito il punteggio. Alla fine, somma i punteggi di ogni frase.

Istruzioni:

1 = raramente;
2 = qualche volta;
3 = non saprei;
4 = spesso;
5 = continuamente.

 1. mi sento stanco anche dopo una buona dormita____
 2. sono insoddisfatto del mio lavoro____
 3. mi intristisco senza ragioni apparenti ____
 4. sono smemorato____
 5. sono irritabile e brusco____
 6. evito gli altri sul lavoro e nel privato____
 7. dormo con fatica (per preoccupazioni di lavoro)____
 8. mi ammalo più del solito ____
 9. il mio atteggiamento verso il lavoro è"chi se ne frega"? ____
10. entro in conflitto con gli altri ____
11. le mie performance lavorative sono sotto la norma ____
12. bevo o prendo farmaci per stare meglio____
13. comunicare con gli altri è una fatica ____
14. non riesco a concentrarmi sul lavoro come una volta____
15. il lavoro mi annoia ____
16. lavoro molto ma produco poco ____
17. mi sento frustrato sul lavoro ____
18. vado al lavoro controvoglia ____
19. le attività sociali mi sfiniscono ____
20. il sesso non vale la pena ____
21. quando non lavoro guardo la tv ____
22. non mi aspetto molto dal lavoro ____
23. penso al lavoro, durante le ore libere ____
24. i miei sentimenti circa il lavoro interferiscono nelle mia vita privata ____
25. il mio lavoro mi sembra inutile, senza scopo ____

Punteggio

da 25 a 50 --- E' tutto OK;
da 51 a 75 --- Meglio prendere qualche misura preventiva;
da 76 a 100 --- Sei candidato al burnout;
da 101 a 125 --- Chiedi aiuto.

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