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La comunicazione nell’era della rete e dei social network

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di Sebastiano Russo
Il 4 febbraio 2004 un perfetto sconosciuto, tale Mark Zuckerberg, all’epoca studente diciannovenne presso l’Università di Harvard, con l’aiuto di 2 amici rivoluziona il mondo.
Quello che doveva essere un banale mezzo di comunicazione (alternativo al telefono)  ad uso e consumo dei suoi colleghi universitari, si impose invece come un potente mezzo mediatico  ed un’arma forte a favore della libera circolazione delle idee e delle informazioni.
Parecchi studiosi associano il concetto stesso di social network a Facebook, in effetti da allora si sono succeduti molti altri social network, alcuni scopiazzando l’originale, altri invece implementandone  le potenzialità comunicative e la velocità di trasmissione delle idee.
Il social network dunque come mezzo di comunicazione di massa. In internet, dove vive e si nutre, questo gigante virtuale accresce le conoscenze del singolo, informa chi vuol essere informato, aggiorna chi vuol essere aggiornato ma soprattutto ricorda.
La memoria della rete è una memoria collettiva, un grande contenitore all’interno del quale tutti possiamo sbirciare anche accettando la possibilità di trovarvi informazioni non corrette o, come qualcuno le definisce, verosimili ma non vere.
Dunque al fianco della televisione e dell’immortale radio, la rete ed i social network diffondono la conoscenza e quegli ideali di libertà e giustizia che sono proprie della cultura occidentale e tanto temute dalle culture più lontane alla nostra.
L’informazione, indubbiamente, è un’arma nelle mani del popolo attraverso la quale si può giudicare ed anche indirizzare l’attività politica.
 Ma qual è il risvolto della medaglia? Davvero la libera informazione, la rete ed i social network sono solo questo cocktail di democrazia e libertà o celano dietro quest’aureola di santità parti oscure?
Pensiamo ad esempio al più potente motore di ricerca che la rete offre. Google.
Il sito è talmente conosciuto dagli internauti e no che il termine “googlare” è entrato a pieno titolo a far parte della lingua italiana per indicare la ricerca nella rete (il buon Dante ci perdoni) .
Com’è noto, google fornisce all’utente una serie cronologica di risultati in base ai termini digitati. Già cronologica, quindi c’è il primo risultato, poi il secondo, poi il terzo e via via che l’elenco scorre va scemando l’attenzione dell’utente che finisce quasi sempre col “clicckare” proprio il primo o il secondo risultato.
Ma io posso pagare google affinché il mio sito scali velocemente questa lista. Qual è il risultato? Visibilità. Posso comprarmi tutta la visibilità che voglio. Se ho il denaro necessario posso essere “clicckato”, visitato , navigato, esplorato 10, 100, 1000 volte al giorno.
E’ questo il concetto di libertà del quale si parlava sopra? Penso di no. Allora la rete va “usata” con raziocinio, come si fa per i medicinali, usata all’occorrenza ma senza dimenticare cosa la stessa può nascondere nelle scritte, in piccolo, del suo “bugiardino” ( già chissà perché le indicazioni dei medicinali si chiamano proprio così, forse è un’ammissione di colpa).

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