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L’Alzheimer in Europa

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di Romano Bartoloni 
“Alzheimer che fare?” è l’angoscioso interrogativo dei nostri tempi che affligge i destini di tante famiglie, che mette all’improvviso di fronte a un baratro, e che richiede alla società un generoso slancio di solidarietà contro le suggestioni alla resa. Purtroppo, è difficile non cedere allo scetticismo sotto il peso delle magre risorse della sanità, della crisi del Welfare e non, da ultimo, della miopia culturale e giovanilistica verso la terza età. 
Lo scorso anno l’UE ha investito 25 milioni di euro per un programma di ricerche nel campo delle malattia degenerative, Alzheimer e Parkinson in testa. Una goccia d’acqua nell’oceano della cosiddetta “epidemia silente” del secolo per l’esponenziale diffusione, e che sta divorando 36 milioni di uomini e donne nel mondo, un milione di italiani. Di più ha fatto la Francia nel 2008 con l’allora presidente Sarkozy che stanziò oltre un miliardo e mezzo di euro per un piano quinquennale, annunciando enfaticamente di aver dichiarato guerra all’A. e invitando gli altri Paesi europei ad unirsi a lui. Oggi di quel piano non si sa più niente  e gli echi in Europa si sono spenti da un pezzo.
Nonostante da anni si parli di un miracoloso vaccino, ancora non è stata inventata l’arma segreta per debellare la malattia degenerativa della mente che più di ogni altra minaccia le conquiste della longevità e della qualità della vita della terza età. Tuttavia, crescono le aspettative nel campo della prevenzione, delle diagnosi precoci, e persino della terapia perché oggi se ne sa molto di più sulle cause, le origini, le insidie involutive della demenza senile, nonché sulla stretta interconnessione con altre patologie. 
Dopo oltre 100 anni dalla Convenzione di Tubinghen nella quale Alois Alzheimer rivelò il primo caso, la scienza e la geriatria hanno compiuto passi da gigante sotto il profilo della ricerca e della conoscenza di un fenomeno mondiale arrivato a livello epidemico con un alto prezzo sociale.
Peraltro, il colpito di demenza senile è quasi sempre “un anziano fragile” con problematiche cliniche complesse legate alla polipatologia e alla politerapia, oltre che alle necessità riabilitative, psicologiche e sociali. 
I progressi compiuti da scienziati, clinici e ricercatori non hanno ancora risolto il rebus dei rebus: al di là dei giusti equilibri, sono più efficaci le medicine o le molte strade dell’assistenza sociofamiliare?
In tanti oggi scommettono con fiducia sul riscatto della centralità della persona nei confronti della tradizione condizione di paziente/zitto e mosca, incoraggiando a rispettare dignità, umanità e personalità, suggerendo di valorizzare a compensazione tutte le facoltà rimaste intatte, attribuendo un ruolo chiave alla famiglia da non lasciare sola e nell’ignoranza, prospettando una coordinata ed integrata assistenza sociosanitaria, ridimensionando la pressione farmacoterapica e antipsicotica.
Intanto, si va affermando un approccio medico scientifico secondo il quale la via geriatrica supera e assorbe il controllo neurologico e psichiatrico (oggi troppo protagoniste nel campo con dubbi risultati). Ne deriva l’opportunità, assai avvertita dai familiari, di promuovere un concreto aiuto per chi vive la malattia giorno per giorno, per chi patisce i danni della demenza senile e per chi “caregiver” (familiare, badante, assistente) ne convive e ne soffre il dramma. Uno stile di vita attivo sul piano mentale, fisico e sociale, associato alla prevenzione dei fattori di rischio cardiovascolari, potrebbe rappresentare la migliore strategia di prevenzione oggi per i ridurre i rischi della progressiva distruzione psicofisica della persona.
Si è consapevoli che, nonostante tutte le buone intenzioni, da soli non spostiamo le montagne e fra il dire e il fare per una sanità davvero a misura umana c’è sempre di mezzo il mare con problemi caratteristici di tutta la nostra società: scarsità di risorse e di energie, burosaurocrazia, mentalità culturale secondo vecchi schemi, organizzazione sanitaria a compartimenti stagni; eccessi di carichi di lavoro sulle spalle di pochi addetti ecc.
Però, come testimoniano la dedizione di tanti medici e operatori specializzati a tu per tu con la realtà sofferente di ogni giorno e l’appassionata ricerca scientifica, l’impresa non è impossibile e la malattia non è imbattibile. Purché ognuno continui a impegnarsi per la propria parte, si aprono spiragli di speranza per migliorare la qualità della vita, per sconfiggere i mostri della solitudine, per favorire le condizioni dell’interscambio sociale, per mantenere viva e vitale la comunicazione con il mondo e il quotidiano dentro e fuori le mura di casa.
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