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L’Italia deve crescere non solo redistribuire la ricchezza

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di Aroldo Barbieri
L’Italia deve tornare a crescere e non solo redistribuire la ricchezza esistente a vantaggio dei meno abbienti, anche se questi ultimi sono stati quelli più toccati dalla crisi e una spinta alla domanda interna è sicuramente economicamente corretta, oltre che socialmente ed elettoralmente pagante. La crescita è imposta in primis dalla necessità di ridurre il debito pubblico. Sarebbe illusorio pensare che tutto si sia risolto con la discesa dello spread, frutto sopratutto dell’afflusso dei capitali che lasciano i Paesi del terzo mondo verso l’Europa. Il debito sta infatti ancora aumentando. Per tornare a crescere le riforme sono importantissime. La principale riforma è quella che combatte la corruzione e le tante, troppe, “mafie” di questo Paese. Perciò semplificare dovrebbe essere la parola d’ordine. Di qui la necessià di ridurre i troppi passaggi che aumentano i costi e le occasioni di corruzione. E’ questa la rivoluzione “liberale” tante volte promessa e mai attuata.
Rivoluzione liberale che comprende anche il rispetto del criterio del merito, che resta l’unico davvero democratico, quello che garantisce un qualche “ascensore sociale” con relativo ricambio della classe dirigente, stoppato per l’appunto dai conservatori di destra e di sinistra, oltre che dalle varie camarille, alle quali lo status quo va su misura.
Ora in un Paese in cui i lavoratori dipendenti pagano quasi il 90% dell’IRPEF e questa è corrisposta in larghissima misura da chi ha stipendi e pensioni superiori ai 2.500 Euro, continuare a tosare questi ultimi per redistribuire agli altri può apparire una soluzione, ma contribuisce ad aggravare il male. Infatti l’altra componente della mancata crescita dell’Italia va ricercata nell’appiattimento che la sinistra di ispirazione marxista va perseguendo da decenni. Se alla fine del mese siamo tutti uguali o quasi perché sforzarsi? Perché lo studente dovrebbe impegnarsi se, alla fine dell’anno, in un modo o nell’altro tutti vengono promossi? Perché il docente dovrebbe aggiornarsi, se non ci sono incentivi a farlo e il suo impegno viene misurato su base oraria quasi fosse un operaio alla catena di montaggio? Nella nostra Italia del “fin che la barca va” non è mai stato messo adeguatamente in evidenza il danno da appiattimento, in assenza per di più di quei servizi sociali che nei paesi nordici giustificano la straripante presenza dello Stato con relativa alta tassazione.
Al disegno di Matteo Renzi, apprezzabile per altri aspetti, vanno mosse tre principali obiezioni: troppa timidezza nei tagli alla spesa improduttiva, accentuazione dell’appiattimento, riforma del Senato a misura dei sindaci PD.
Nel finanziare il tanto sbandierato provvedimento degli 80 Euro in busta paga l’incremento delle tasse supera i tagli alla spesa per 53 a 47. Prendendo lo spunto da situazioni patologiche di stipendi e pensioni oltre il razionale, frutto anch’essi dei privilegi delle molte “caste” si tagliano stipendi e si taglieranno pensioni (questo dopo le elezioni europee) tutt’altro che patologiche, frutto di proporzionali trattenute previdenziali.
Ma la ciliegina sulla torta è la propostra di riforma istituzionale. Nessuno nega l’utilità di eliminare il bicameralismo perfetto, ma perché risolvere il tutto con un Senato completamente formato da amministratori locali? Con una Camera a forte premio di maggioranza e un Senato formato dai sindaci della troika Fassino, Delrio, Renzi, un partito si assicurerebbe con poco più del 30% dei votanti la maggioranza nei due rami del Parlamento. Il tutto poi senza nessuna garanzia che i sindaci siano in grado di risolvere i problemi del Paese.
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